mercoledì 12 agosto 2009

Heaven stood still - In loving memory of Willy DeVille

“Ho avuto un incubo spaventoso. Ricordo solo il centro di un incrocio, i fari di un’auto che sta per investirmi. Mi arrampico su per una scarpata di sterpaglie e rovi. E la sensazione che Harry sia morto.
Se Harry morisse da chi potrei saperlo?
Un trafiletto su Repubblica? Sul Corriere? Una notiziola a margine, un’agenzia anonima, una foto di dieci anni fa…Il problema è che io non leggo più i quotidiani. Certo le quotazioni dei suoi dischi salirebbero subito. Lacrime di coccodrillo. Speculazione. Massa di idioti.”

Non so se le quotazioni dei dischi di Willy DeVille saliranno subito, se mai saliranno. E le agenzie che hanno battuto la notizia della sua morte erano anonime e frettolose. Nessuna precisa, nessuna corretta.
Pubblico volentieri questa foto con le note in olandese, tedesco e nell’inglese sgangherato a cui mi hanno abituata le fonti ufficiali olandesi perché Willy è stato molto più amato in Europa che in patria. Pubblico volentieri questa foto – che non mi piace particolarmente – perché è stata scelta dalla moglie e perché è l’immagine che mi è stata recapitata nella cassetta delle lettere con la scritta “in loving menory”.

Uno dei libri più intensi che ho letto e riletto ultimamente è Hotel de Dream di Edmund White: nella mia testa sovraffollata, l’immagine di Cora che assite Stephen Crane nei suoi ultimi giorni, si confondeva con naturalezza col pensiero quotidiano di Nina e Willy chiusi nel loro appartamente di New York ad aspettare la morte, con lei che gli legge le lettere dei fans e lui che si accontenta di guardare i biglietti perché è così stanco da non essere nemmeno più in grado di leggere.

Al richiamo ufficiale di inviare messaggi – rigorosamente cartacei – io, vigliaccamente, mi sono sottratta. Non volevo che a Willy arrivassero parole affettate. Sapevo che lui voleva sentire delle storie vere, voleva sapere da noi perché lo avevamo amato. Richiesta legittima da parte di un artista, soprattutto da parte di uno che ha sempre confuso arte e vita. Non ho mai trovato il coraggio, il tono giusto. C’è tempo, mi dicevo. C’è tempo.
Col tempo, magari, riuscirò a trovare il punto di convergenza tra la sorprendente, passionale, musicalissima vitalità di Willy e la pulsione di morte che l’ha corroso lentamente. Perché sulla scena Willy emanava un’energia che ti restava addosso per giorni. Ma quando a Lucerna, nel luglio di tre anni fa, lo avvicinai per strappargli un altro autografo, mi parve irriconoscibile: scheletrico, pallidissimo, aveva esattamente l’aria di uno che si era fatto di eroina per una vita intera.

Willy non era un grande chitarrista. Però aveva un talento smisurato, una musicalità animale, un gusto raro: lavorava d’istinto. L’istinto lo guidava a scegliersi i collaboratori giusti, musicisti geniali, straordinari, come David Keyes, Freddy Koella, Boris Kinberg, ognuno dei quali meriterebbe ben più di una banale citazione.

Un paio di giorni fa, ancora a Berlino, stavo trafficando con la valigia quando fui trapassata all’improvviso e senza ragione da una melodia inconfondibile: veloci come una folata di vento quelle semplici note mi risucchiarono in un presentimento, subito cancellato da un ragionevole, forzato ottimismo. Heaven stood still. Era quella la melodia.
“C’è una specie di misericordia universale, una saggezza superiore in questi richiami, in questi messaggi che viaggiano da un secolo all’altro attraverso la musica, le parole, le immagini. È nostro dovere metterci in ascolto e ubbidire. Non è stato un errore credere nella bellezza. E non è affatto un errore continuare a credere nell’arte, nella nostra arte.”

2 commenti:

guanabara ha detto...

Non ne sapevo niente.
" Il cancro del tempo ci divora / i nostri eroi si son già uccisi/ ...o uccidono ancora ".

fuchsia ha detto...

A dire il vero io l'ho saputo appunto perché mi sono trovata la notizia nella cassetta della posta. Non credo sia stato dato molto rilievo alla scomparsa di un artista così strano e indefinibile. È successo il 6 agosto. Da due mesi si sapeva che non c'erano speranze. Quella che sembrava un'epatite C che lo aveva costretto ad annullare tutti gli impegni per il 2009 in realtà si è rivelato un cancro al pancreas. La stessa malattia che ha ucciso Pavarotti. Non posso non ricordare che nel 2006 a Chiari Willy dedicò il concerto a Pavarotti (del quale appunto si era appena saputo che era gravemente malato).