mercoledì 30 settembre 2009

Pubblicità progresso

Domani ennesima sospensione dell'erogazione dell'acqua. Dalle 8.30 alle 18.
Dov'è la novità? Ma nel fatto che siamo stati avvisati, caspita!
Giuro, in otto anni che abito in questa ambita terra di Vips, è la prima volta che succede.

lunedì 28 settembre 2009

Castello di Belgioioso - Piccoli editori in mostra


Sabato mattina ero tutt'altro che dell'umore adatto ad affrontare le molli nebbie preautunnali della campagna pavese. Ma alla fine, sospinta da un vago senso del dovere e, soprattutto, rinfrancata dalla temeraria generosità del mio editore che mi aveva offerto due biglietti omaggio (udite udite!), muovendomi ormai con impareggiabile destrezza tra una frazione, una sottofrazione e il rischio di finire nei campi per via della pressoché totale mancanza di indicazioni stradali, ho raggiunto con successo la mia mestissima meta.
È stata la mia quinta volta a Belgioioso e, a mio modesto avviso, la manifestazione si conferma artritica e sonnolenta.
È pur vero che si tratta - almeno per me - dell'unica occasione per scoprire certi gioiellini come
questo delizioso libretto di Tiziano Scarpa; quanto a certi piccoli editori, la mostra di Belgioioso rappresenta una non trascurabile opportunità di uscire allo scoperto.
E tuttavia l'atmosfera generale è sempre triste, melanconica, passiva.
Gli unici scorci di vivacità (udite udite bis!) sono stati registrati presso lo stand del mio editore - presidiato da diversi autori e frequentemente visitato da acquirenti - e presso l'adorabile esposizione di queste due
magnifiche editrici bolognesi la scoperta delle cui creazioni è valsa sicuramente il viaggio.

Per la cronaca il bottino in dettaglio:

Post-Punk di Simon Reynolds (sì proprio quel mattone tremendo) ed.ISBN

Il libro degli Area di Domenico Coduto ed.AUDITORIUM

Blues di Giles Oakley ed.SHAKE (indovinare a chi si deve l'acquisto)

Fuoco su Babilonia! di Aldo Nove ed.CROCETTI

L'estrosa abbondanza di Anne Sexton sempre CROCETTI

e il librino di Tiziano Scarpa che, anche se nella confusione mentale del momento e non solo del momento è stato dimenticato là dove era in mostra, arriverà presto per posta.

N.B.Nella foto uno dei "pezzi unici" delle Magnifiche Editrici. Non è il mio preferito ma era l'unico riproducibile ed è semplicemente un invito a consultare un catalogo di piccoli capolavori.

sabato 26 settembre 2009

Mervyn Peake in Switzerland


L'unica ragione per cui ancora tollero di vivere da queste parti è che sono a un passo dal confine svizzero, il che è una ragione sufficientemente valida per costringermi a non perdere questa mostra. In barba alla sindrome rinunciataria che mi affligge di questi tempi.

venerdì 25 settembre 2009

Fuchsia e il brachiosauro

Tanto abbiamo fatto, io e il brachiosauro, che siamo finiti su una guida virtuale di Berlino.
Forse la saggia voce dell'universo ci sta finalmente indicando la strada?

Capitolo 1 "Holles Street" - terza puntata

Da quando hanno scoperto che il curioso personaggio sdraiato su un enorme masso in un angolo del parco è l’autore di quelle fiabe che non si stancano mai di ascoltare dalla tua voce magica, Julia e Chloe hanno stabilito con la statua di Oscar Wilde un filo diretto di confidenze.
“Sono arrivate al punto di mostrargli ogni nuovo disegno ispirato alle fiabe” e ripensi con orgoglio allo splendido usignolo dal cuore trafitto che Chloe ha disegnato e colorato con una maturità stupefacente in una bambina che non ha ancora compiuto sette anni.
“Ha dimenticato completamente la rosa” rifletti ad alta voce “si è concentrata solo sulla spina che affonda nel cuore dell’usignolo” e rivedi nitidamente la tensione coraggiosa che Chloe ha saputo infondere al corpicino stremato dell’uccellino.
“Sicuro che sia una fiaba per bambini?”
Guardi la dottoressa portoghese come se fosse un’estranea materializzatasi all’improvviso al tuo fianco: com’è possibile che non conosca la fiaba dell’usignolo e della rosa?
“Perché non dovrebbe essere un racconto adatto ad un bambino?” la provochi dopo averle riassunto brevemente la storia. “Non insegna forse il valore del sacrificio? Non è quello che le bambine si sentono ripetere ogni domenica a Messa?”
“Le porti a Messa tutte le domeniche?”
“Per espresso desiderio della loro madre che desidera siano educate secondo i principi della Santa Chiesa Cattolica.”
“Sbaglio o c’è un po’ di ironia?”
Alzi le spalle, indifferente: “Io sono un prodotto di quel tipo di educazione. Di certo non potrei propagandarne i benefici.”
Lei ride. “Non ti conosco abbastanza per poter giudicare. Per quanto mi riguarda, direi che la parabola del buon samaritano non te la sei dimenticata.”
No, le parabole non te le sei dimenticate, e ci sono passi del Vangelo che potresti ripetere a memoria. “Mi piacciono le guarigioni, le resurrezioni, il cieco nato, Lazzaro, la donna che tocca il mantello di Gesù in mezzo a tutta quella folla e lui che se ne accorge, non è bellissimo?” Se tu fossi un prete non troveresti mai le parole giuste per spiegare quel passo del Vangelo: dovresti ricorrere alla poesia, qualcuno direbbe che sei blasfemo.
“Ma non c’è niente di blasfemo nell’amore, non credi?”
Lei ti sta osservando intenta, curiosa di sapere dove vuoi andare a parare. “Voglio dire” riprendi, sperando di trovare le parole giuste “c’è qualcosa di profondamente poetico in quel passo del Vangelo: è l’amore quello che ha raggiunto, che ha afferrato Gesù con la forza assoluta della disperazione...”
“Forse la fede” obietta lei.
“Fede e amore non sono la stessa cosa? Può esistere l’una senza l’altro?” reagisci istintivamente. “Voglio dire: quello che mi colpisce è quella corrente sotterranea d’amore, quell’intesa misteriosa…ciò che unisce Gesù a quella donna è la stessa energia segreta che scorre fra due estranei che all’improvviso si riconoscono l’uno nell’altro…Non è quello che chiamiamo amore? No, qui non c’è nulla di blasfemo, voglio dire, è solo per amore che Gesù compie i miracoli, per quale altra ragione?”
“È interessante parlare con te” dice pensierosa la dottoressa portoghese, come se ti osservasse da una diversa prospettiva. Hai fatto male a confidarti, cosa ne sai che non è anche lei una di quelle che si inginocchiano al confessionale e rovesciano dentro la grata la lista precisa e puntuale dei propri peccati?
“Cosa ci sarebbe di male in questo?” ride lei accarezzandosi la crocchia sfilacciata dal vento.
“Non so, forse è solo invidia” sospiri con un’altra alzata di spalle.
“Sì, in un certo senso invidio le persone che credono che basti raccontare i propri errori per farli scomparire. Piacerebbe anche a me avere un’anima così facile da spazzare… non che io non abbia un’idea di cosa sia bene e cosa sia male, ma da qui a stabilire con precisione…”
Lascia stare per amor del cielo: ti stai cacciando in un vicolo cieco, stai sconfinando in territori pericolosi. La filosofia non è roba per te, dovresti saperlo, e hai già chiacchierato anche troppo.
Rientra nei ranghi e rimetti tutto in ordine.
È ora di tornare a casa, ormai.
“Chissà, magari ci capiterà di incontrarci ancora” le sorridi diplomaticamente mentre ti muovi per recuperare la tua bicicletta. “Magari la prossima volta che porto le bambine a fare due chiacchiere con Oscar Wilde.”
“Scusami per prima” dice lei ad un tratto tirandosi su la zip del giubbino imbottito “quando ti ho invitato ad entrare a bere.”
“Non potevi mica saperlo” e fingi di cercarti qualcosa in tasca per evitare i suoi occhi.
“Deve essere stata dura venirne fuori…”
“È stata dura anche esserci dentro. Non arrivi a quel punto per il piacere di farlo.”
“Sì, lo immagino” concorda nascondendo pensosa la bocca nel bavero rialzato.
“Credo che lo stadio successivo sarebbe stato farmela addosso mentre dormivo” aggiungi trasportando la bici su per i gradini.
Quel respiro profondo le serve probabilmente per controllare la pena che prova per te. Decidi di risparmiarle il capitolo droga.
“È tutto a posto, adesso? Stai bene?” È lì immobile che aspetta la risposta, con un misto di curiosità scientifica e di coinvolgimento autentico, affettuoso, si potrebbe dire.
“Tutto sotto controllo” ti affretti a ristabilire subito le distanze “Il fegato non me l’hanno rimpiazzato. Forse i miei intrugli macrobiotici sono serviti a limitare i danni.”
“O più probabilmente qualcuno ha pensato che saresti stato molto più utile in buona salute qui su questa terra e ti ha dato una possibilità.”
“Lascia perdere: chi ha il controllo di queste cose mi sembra piuttosto distratto, ultimamente.”
Lei è diretta a nord del fiume, tu invece dovresti imboccare esattamente la direzione opposta, ma all’improvviso la visione del tuo appartamento deserto ti riempie di angoscia, così decidi di accompagnarla per un tratto. L’ingresso del Trinity College offre un rifugio invitante: i viottoli ordinati percorsi dagli studenti ti hanno sempre ispirato vitalità e speranza. Approfittate dell’unica panchina libera e vi sedete a margine del campo col pretesto di assistere alla partita di cricket che si sta svolgendo tra l’indifferenza totale dei passanti. Lei non conosce minimamente le regole del gioco e tu non sei in grado di darle spiegazioni: l’hai sempre giudicato uno sport noiosissimo e assurdo che per qualche strana ragione ti suscita inquietudine. Anche adesso, davanti a quell’ordinamento preciso di forze, nonostante i saggi movimenti dei giocatori, la tua mente scivola indietro verso l’ufficio di Mrs Brennan e il colloquio di poche ore fa. Il gioco di squadra che capitanavi tu non ha ottenuto alcun risultato.
“Lo fai per lavoro?” ti sta chiedendo intanto la ragazza portoghese mentre, due forcine infilate all’angolo della bocca, cerca di ricostruirsi la crocchia distrutta dal vento.
“Ti riferisci al carcere?”
“Stavamo parlando di quello, mi sembra…”
Ti senti all’improvviso un perfetto incapace, indegno persino di educare le tue splendide figlie.
“No, non potrei mai fare l’educatore di mestiere” spieghi allungando un braccio per accarezzare teneramente la corteccia di un albero. “Faceva parte del mio programma di riabilitazione. È così che ho cominciato. Un servizio di volontariato che doveva durare pochi mesi.”
Giorno dopo giorno, difficoltà su difficoltà, hai accumulato anni di esperienza. Non è chiaro chi abbia ricevuto di più, se tu o le detenute alle quali hai cercato di trasmettere il conforto della musica. Quel che è certo è che la tua vita qui in Irlanda si è strutturata essenzialmente su due cardini: le bambine e il carcere. Il lavoro alla radio l’hai sempre vissuto come una sorta di corollario a tutto il resto: le trasmissioni le scrivi di solito la sera, dopo che hai messo a letto le bambine, o quando Julia e Chloe restano a dormire a casa di Deirdre, e comunque sempre dopo aver pianificato le attività del gruppo di detenute cui dedichi almeno tre pomeriggi a settimana. Senza contare il pomeriggio della domenica, un impegno extra che ti sei accollato senza esitazione.
“Secondo te ci sono speranze che Lynn si riprenda?” chiedi cercando di dominare il battito furioso del cuore.
La ragazza sposta lo sguardo sulle tue dita che stanno ormai percorrendo un pezzo di corteccia con nervosa regolarità. “È difficile dirlo… dipende da troppi fattori.”
Come temevi. Sembra che sia il tuo destino, più che quello di Lynn, ad essere appeso ad un filo inafferrabile.
Gli arbitri, intanto, hanno deciso la sospensione dell’incontro di cricket: il seguito, probabilmente, domani.
“È stato davvero un piacere conoscerti, Steven.” Serena e sorridente, la dottoressa portoghese ti sta tendendo la mano con uno strano piglio maschile, militaresco, quasi: deve essere il suo modo di esercitare il controllo sulla propria indole generosa ed espansiva.
“È stato un caso. Passavo di lì...”
“Non esiste il caso” ti interrompe “niente succede per caso. Io credo che ci sia sempre una ragione a tutto, anche se non siamo sempre in grado di capire.”
È un saluto che ti lascia lì esitante, senza parole.
Il campo da gioco si è ormai spopolato e sembra che tutti abbiano fretta di tornare a casa o di andarsene chissà dove. Non hai amici a Dublino. Non te ne sei mai reso conto così lucidamente come ora. Conosci tanta gente, tutti i giorni ti capita di salutare qualcuno per strada, ma non c’è nessuno che tu possa svegliare nel cuore della notte per una confidenza bruciante. Perché non hai trattenuto ancora un istante la dottoressa portoghese? Com’è che non ti è venuto in mente di invitarla a cena una delle prossime sere e presentarle Deirdre e le bambine? Avresti fatto certamente la felicità di Chloe e Julia, sempre così golose di novità. E avresti potuto introdurre un diverso argomento di conversazione con Deirdre.


All’altezza dello stadio senti l’ansia pulsare forte contro il tuo cuore. Cerchi di mantenere una velocità regolare, combattuto fra il desiderio di fiondarti in casa al sicuro e il terrore di essere investito da una solitudine agghiacciante una volta richiusa la porta. Varchi la soglia dell’appartamento e nessun mostro ti assale. Gli oggetti sono tutti fermi al loro posto. La tua vita senza le bambine è un’assurdità insopportabile, realizzi abbandonandoti affranto contro la porta.
Passa un bel po’ di tempo prima che tu ti decida a dare l’allarme. Un certo numero di ore in cui non ti riesce di fare assolutamente nulla a parte startene lì seduto ad accogliere le ombre una ad una. Intanto gli altri appartamenti si illuminano, qualcuno nel cortile scarica sacchetti della spesa, spesse tende a fiori vengono tirate a difesa di chissà quale intimità domestica. Sbrigati a prendere in mano il telefono: non è certo standotene lì immobile a fissare il vuoto che spegnerai questo attacco d’ansia.
“Dove sei Steve?” è la domanda che arriva subito dopo un istante di esitazione, e la voce ha il consueto tono rassicurante, caldo e senza incertezze di chi è abituato a scavalcare le apparenze.
“Sono a casa, dove vuoi che sia…”
“Vieni qui, tesoro. Sono sicura che qui con noi starai subito meglio. Le bambine stanno dormendo.”
È questa voce per niente irlandese che da anni ti tiene ancorato alla realtà. Un suono sommesso dal timbro velato che ha il potere di dissolvere magicamente le tue angosce. Hai seguito questa voce fatata come un cagnolino cieco senza padrone e ti sei ritrovato in un paese straniero, in una città nuova, e ancora implori lo sguardo scintillante di Deirdre e la sua energica pazienza per essere rivitalizzato. Non sei mai guarito, Steve. Nonostante tutti i tuoi sforzi, non sei ancora un uomo libero.

(da "L'inutile guida" ed. Progetto Cultura, 2009 - terza puntata)

giovedì 24 settembre 2009

"Trekking stubborn through this season of fatigue..."

"Appollaiato in alto sul rigido stecco
un corvo nero bagnato
si aggiusta e riaggiusta le piume nella pioggia.
Non mi aspetto un miracolo o un evento

che dia fuoco alla vista
nel mio occhio, e nemmeno più cerco
nella stagione mutevole un disegno,
ma lascio che le foglie maculate cadano come capita,
senza cerimonia, o presagio.

Benché, lo ammetto, io desideri
ogni tanto qualche risposta
dal cielo muto, in verità non posso lamentarmi:
una luce modesta può sempre
balzare incandescente

dal tavolo della cucina o da una sedia
come se un ardore celestiale
si impadronisse a tratti degli oggetti più ottusi -
consacrando così un intervallo
altrimenti irrilevante

con l'elargizione di doni, di onore,
di amore, si potrebbe forse dire. Sia come sia, ora cammino
guardinga (perché c'è caso che avvenga
persino in questo grigio panorama in rovina); scettica
eppure accorta; ignara
di qualsivoglia angelo scegliesse di avvampare
d'un tratto al mio fianco. So soltanto che un corvo
che si rassetta le piume può brillare a tal punto
da afferrare i miei sensi, issare a forza le palpebre, e accordare

una breve tregua alla paura
della neutralità assoluta. Con un po' di fortuna,
arrancando testarda in questa stagione
faticosa, metterò
insieme una contentezza,
più o meno. I miracoli avvengono,
se vogliamo chiamare miracoli quegli spasmodici
scherzi di radianza. Ricomincia l'attesa,
la lunga attesa dell'angelo,
di quella rara, aleatoria discesa."

Sylvia Plath "Black rook in rainy weather" traduzione di Anna Ravano

lunedì 21 settembre 2009

In fissa con gli Eels

Tutte le volte che penso agli Eels mi viene in mente "Il tamburo di latta" e quella scena terribile della testa di cavallo guizzante di anguille sulla spiaggia. Qualunque sia l'origine del nome della band non credo che a Mr E dispiaccia essere associato ad un incubo. In ogni caso in questo periodo sembra che io non riesca ad ascoltare altro che questa canzone, dolcissima summa di tutte le malinconie.

venerdì 18 settembre 2009

Capitolo 1 "Holles Street" - seconda puntata

A Dublino è un qualsiasi giorno di settembre e nessuno sa che ieri una giovane donna ne ha avuto abbastanza.
In fondo alla gola ti è rimasto un grumo di amarezza ma stai mantenendo la calma in modo ammirevole mentre ti destreggi nel traffico sulla tua bicicletta veloce. Benché nessuno sembri aver fiducia nel suo risveglio dal coma e Mrs Brennan parli di lei come se fosse già stata sepolta, di fatto Lynn è rimasta ancorata al mondo dei vivi ed è a questo pensiero che ti aggrappi per tenere a bada il senso di colpa.
Accanto all’ingresso del pub, qualche gradino sotto il livello della strada, una ragazza lascia cadere a terra un vecchio zaino logoro e osserva affranta la bicicletta appoggiata al muro; poi, rassegnata, si toglie il casco.
Bloccato a un semaforo, fai deviare automaticamente la bici sul marciapiede.
“Problemi?”
La ragazza si volta di scatto, sorpresa: tu noti subito gli occhi di un castano profondo, la pelle olivastra e perfetta. Sembra un tipo cordiale e vivace e si esprime precipitosamente in un ottimo inglese dall’accento straniero.
“È una cosa da niente” è la tua diagnosi. “Due minuti e te la sistemo.”
Che piacere insolito poter essere rassicuranti per qualcuno, ogni tanto. Problemi così banali che si risolvono meccanicamente, si piegano ai tuoi gesti esperti. Ecco, tutti gli ingranaggi ubbidiscono docili, ora, ma l’inflessione ondeggiante che affiora qua e là nei discorsi rapidi della ragazza resta inclassificabile. “Posso offrirti qualcosa da bere?” chiede ansiosa di ricambiare.
“Non è il caso, davvero” replichi semplicemente mentre con uno straccio ti togli l’eccesso di grasso dai guanti.
“Non ti sei neanche sporcato le mani” osserva lei con un sorriso.
“È solo l’abitudine” e nascondi in fretta straccio e guanti dentro il borsino nero degli attrezzi.
“Sei sicuro di non voler bere qualcosa con me? Mi farebbe piacere, giusto il tempo di una birra…”
Forse il tuo gesto, lo scatto fulmineo che ti ha fatto impugnare d’istinto il manubrio deve averla illuminata. Ragazza sveglia: ha già capito tutto quello che c’era da capire.
“D’accordo” si riprende dopo un brevissimo smarrimento. “Ti andrebbe un succo di qualcosa qui fuori?”
Arrenditi. Parlare un po’ ti farà bene, servirà a farti stare coi piedi per terra. “Anche i succhi di qualcosa sono banditi dalla mia dieta” dici sedendoti sui gradini “ma un caffè nero lo posso accettare.”
Un vento freddo e insistente ha radunato una quantità adeguata di nuvole pronte per la prossima pioggia e, alle tue spalle, le auto scorrono senza sosta sopra il tuo dolore segreto.
“Tu non sei irlandese, vero?” chiedi alla ragazza prendendole dalle mani la tazza fumante.
“Da cosa si capisce? Dall’aspetto o dall’accento?”
“Fondamentalmente dal fatto che tu non hai notato il mio accento londinese. Mi piace quando la gente se ne accorge, a volte esagero di proposito.”
“Spiacente di deluderti” scuote la testa divertita. “Non ci ho proprio fatto caso. Così sei anche tu uno straniero?”
Portoghese. Ecco da dove viene questa cadenza anomala che qua e là si illumina di colore: perché non ci hai pensato subito?
“Non so proprio come ci sei arrivato…” dice guardandoti piena di rispetto e sorpresa, come se avessi risolto un enigma impossibile.
“Un tempo avevo una specie di ossessione per le lingue” spieghi sentendo montare l’imbarazzo. “Parlavo correntemente tutte le principali lingue europee. Mi divertiva imparare. Il portoghese ho cominciato a studiarlo la prima volta che sono stato in Brasile, anche se c’è una differenza abissale fra il brasiliano e il portoghese, voglio dire il brasiliano è molto più gradevole da ascoltare, più comprensibile, sei d’accordo anche tu, vero? In ogni caso è una lingua stupenda, lo penso davvero…”
Il castello complicato della tua vita si sta stagliando dietro di te come un’ombra inestricabile: vedi di non metterti nei guai. Non ti sembra di esagerare con le confidenze? Finirà per pensare che ci stai provando. Fortunatamente la sua voglia di raccontare ha subito il sopravvento sulle tue ciance inutili. Sotto quell’aria trasandata e ingenua da studentessa squattrinata si nasconde incredibilmente un medico, “specialista in ostetricia e ginecologia” sottolinea lei con una punta di orgoglio; pochi tratti essenziali nelle sue parole bastano a delineare rapidamente una personalità forte e appassionata.
“Scusa, per caso lavori a Holles Street?” la interrompi a un tratto, inspiegabilmente pieno di speranza.
“Conosci Holles Street?” chiede lei sbarrando due enormi occhi luminosi di felicità.
“È dove sono nate le mie bambine, due gemelle, sette anni il mese prossimo, compiamo gli anni lo stesso giorno, sai?”
A giudicare dalla sua reazione si direbbe che non abbia mai ricevuto notizia più esaltante in tutta la sua vita. “Adoro aiutare degli esseri umani a venire alla luce” confessa poi abbracciandosi le ginocchia. “Il mio lavoro è davvero meraviglioso…” Poi si lancia a spiegarti la sua carriera dagli inizi, le grandi speranze e la fatica, le delusioni e tanta voglia di imparare, il primo incarico importante presso il Pronto Soccorso di un ospedale su un’isoletta in mezzo all’oceano. “Hai presente dove sono le Azzorre?”
Sì, hai presente dove sono le Azzorre: ci puoi appoggiare sopra il piede se stai scavalcando l’Atlantico per raggiungere l’America. Certo che hai presente dove sono le Azzorre: sono anche in un posticino invisibile nel tuo cuore, al sicuro, in un angolo dove non possono procurare dolore.
“Infine la mia domanda qui presso il Maternity Hospital è stata accettata e così mi sono trasferita un’altra volta. I primi tempi sono stati durissimi: non conoscevo nessuno, mi rifilavano turni estenuanti, ma ne è valsa la pena. È stato difficile prendere il ritmo. Ti lascio immaginare l’ebbrezza di tornare a casa in bicicletta sotto la pioggia, magari all’alba o a notte fonda, dopo ore in sala operatoria: non potevo certo permettermi di comperare un’automobile…fortunatamente mio padre ha pensato di portarmi qui la mia auto…”
“Cosa ha fatto tuo padre?” trasalisci come colpito da un’ingiuria.
“La mia auto…” ripete lei perplessa. “Lui ha guidato fino in Francia, da lì si è imbarcato su un traghetto per l’Irlanda, poi è tornato in Portogallo in aereo. Tu non lo faresti per le tue figlie?”
Sei rimasto senza parole, come sempre in circostanze analoghe. Per Julia e Chloe non esiteresti ad affrontare l’oceano a nuoto, ma non ti sei mai abituato a pensare a te stesso nel ruolo di padre. Il termine padre, per te, indica da sempre un concetto astratto. È un vocabolo inconsistente, una voce muta, e continui regolarmente a stupirti ogni volta che questa parola viene associata ad un individuo in carne ed ossa, un individuo che parla, sceglie, agisce. Un individuo che ama. Ma è inutile provare a spiegare, è sempre stato inutile, ed è tanto più inutile ora che non c’è più nessuno in grado di capire. Quando ti accorgi che la conversazione è ancora lì bloccata, in attesa che il tuo dito smetta di percorrere nervosamente il bordo della tazza color mattone, ti rivolgi alla ragazza con un breve sorriso. C’è qualcosa in lei che ti ricorda tua moglie: l’esuberanza, la schiettezza. Il coraggio, anche. Glielo dici subito, tanto per sgomberare il campo da qualsiasi equivoco.
“Tua moglie è irlandese?” si informa lei riprendendo il tono spigliato di prima.
“Completamente”
“Lo dici come se fosse una minaccia.”
“In un certo senso…” Ridi. “Ha esattamente tutti i pregi e i difetti che si attribuiscono di solito agli irlandesi. È una tipa tosta, voglio dire, è una che sa quello che vuole e riesce ad ottenerlo, e io l’ammiro molto per questo, per la sua forza di volontà, la sua determinazione. Non potremmo essere più diversi” ridi ancora e infili lo sguardo dentro la tazza vuota. “Un ingegnere informatico con un’autentica passione per il lavoro a maglia. Mia moglie è la donna più strana che abbia mai conosciuto: è una a cui piace mettere ordine nel caos; le piace avere dei problemi da risolvere…”
“È per questo che ti ha sposato?”
La battuta era facile, anzi, sei stato tu a fornirgliela bell’e pronta per essere pronunciata; in ogni caso è evidente che ormai sei stato inquadrato per quello che sei.

La dottoressa portoghese si passa una mano sui capelli raccolti. Potrebbe essere molto carina senza quella crocchia da sartina vittoriana sopra la nuca.
“Mi piace questo paese” dichiara dedicando uno sguardo luminoso alla volta del cielo ora parzialmente sereno.
“Non è male” confermi. “All’inizio credevo che sarei impazzito. Quando sei abituato a Londra, Dublino ti sembra un villaggetto che puoi misurare con lo sguardo. Basta che entri due volte nello stesso negozio e già si ricordano di te. E poi l’isola è così piccola: stendi le braccia e ne tocchi le estremità. Davvero, all’inizio pensavo che avrei dato la testa nel muro.” Rigiri la tazza fra le mani. “Ma questa è una cosa che si pensa spesso nella vita, poi, in un modo o nell’altro, ci si abitua a tutto, non è così?”
“Certo il clima è terrificante” osserva lei scansando la tua malinconia, lo sguardo vivace di una che non si arrende mai.
“In realtà ho scoperto che ha i suoi lati positivi - l’estrema variabilità, voglio dire - è assolutamente positiva se sei un depresso cronico come me - no, non ridere, è vero, lo sono davvero - hai sempre la speranza che di lì a mezz’ora possa spuntare il sole, è questa idea di movimento che mi piace, il vento che ti spinge sempre da
qualche parte, il cielo che non si ferma mai… E poi un clima del genere ti insegna a non aspettarti mai niente: niente di buono e niente di male. Anche questa è una buona cosa, è molto educativo, insomma.”
Il paese umiliato che hai conosciuto un tempo, intriso di pioggia e miseria, sembra essere stato cancellato da un colpo di spugna. Le tue figlie sono nate in un tempo benedetto dalla pace e speri che non debbano mai conoscere limitazioni alla propria libertà personale. Auguri loro di crescere in una terra libera da confini assurdi, priva dei minacciosi posti di blocco che ricordi bene.
Ti accorgi a un tratto che lei ti sta osservando con una sorta di tenera compassione. “Avevi l’abitudine di viaggiare molto?” chiede, inevitabilmente, dopo un lungo silenzio durante il quale deve aver riconsiderato i tuoi precedenti accenni al Brasile e alle lingue del mondo. Cerchi di compattare il tuo passato di musicista in pochi termini vaghi e generici; entrare nei dettagli non ha senso, quei dettagli non esistono più. “In ogni caso sono felice che le mie figlie siano nate qui” riprendi facendo virare la conversazione verso acque tranquille. “È diventato un buon posto per farci crescere dei bambini.”
Lei concorda e sigilla con un sorriso quella parentesi ambigua mentre tu, per un istante, ti lasci rapire dal ricordo di un autunno irripetibile a Herbert Park, con le bambine che imparavano a camminare attorno alle aiuole scintillanti e la tua anima che cominciava finalmente a respirare, ossigenata da una speranza nuova, tra il
profumo dell’erba appena tagliata.
“Vengo spesso da queste parti con le bambine: adorano giocare nei giardini di Merrion Square. Il loro gioco preferito è fare lunghe conversazioni con Oscar Wilde.”

martedì 15 settembre 2009

Una buona notizia, finalmente

Sabato 17 ottobre a Milano al Cox 18.

lunedì 14 settembre 2009

sabato 12 settembre 2009

Per chi ci potrà andare

"Nick Cave ha annunciato una serie di eventi che avranno luogo in diverse città europee in occasione della pubblicazione del suo nuovo romanzo, The Death Of Bunny Munro, in italiano La Morte di Bunny Munro (traduzione di Silvia Rota Sperti, Ed. I Canguri / Feltrinelli). Sarà l’atmosfera intima dei teatri ad ospitare queste esclusive serate, che vedranno sul palco Nick Cave accompagnato da Warren Ellis e Martyn Casey, in un mix di letture e musica dal vivo. Cave leggerà degli estratti dal suo nuovo libro e sarà accompagnato dalla musica live di Ellis e Casey. Il trio si esibirà inoltre in una selezione di canzoni dall’immenso repertorio di Cave, e i fan avranno l’occasione unica di interagire con lo spettacolo, perché Cave accetterà domande dal pubblico. Questi spettacoli saranno tutto fuorché un concerto tradizionale. “Sarà informale, intimo e bizzarro” ha detto Nick Cave.L’esclusivo tour approderà in Italia il 22 ottobre, al Teatro dal Verme di Milano e farà inoltre tappa a Londra, Dublino, Edimburgo, Anversa, Parigi, Stoccolma, Barcellona e Londra."

Letto su www.dalverme.org


venerdì 11 settembre 2009

Mi sono decisa

Qualcuno mi ha chiesto se sono impazzita. Chiaro che sì, diamine, ma la cosa ha radici ben lontane. E non so quanto abbia a che vedere con la mia decisione - piombatami in testa totalmente ex abrupto - di esporre pubblicamente la creatura. Ma sì. Come un feuilleton. Un paio di paginette una volta la settimana. Un dosaggio sostenibile, via. In un paio d'anni dovrei farcela, credo.

Capitolo 1 "Holles Street" - prima puntata

Credo fermamente che l’infelicità uno la succhia col latte materno...”
Certo l’inizio è lapidario, non lascia spazio ad interpretazioni. Il piglio deciso e irrevocabile di chi ha le idee ben chiare. Una curiosità divorante ti spingerebbe a proseguire la lettura se non sentissi su di te lo sguardo fermo di Mrs Brennan come in attesa di una risposta. È in momenti come questo che desidereresti avere ancora la tua famosa felce di capelli in testa: sarebbe così facile nascondersi. Era il tuo gioco preferito durante le interviste:
ti accoccolavi in una poltrona come un bambino viziato, sceglievi con cura le parole studiando l’avversario, poi balbettavi le tue risposte false attraverso la ragnatela che ti nascondeva gli occhi. Il gioco della timidezza eccentrica era perfetto per reagire alla noia. Ma il tempo dei giochi è finito da un pezzo. Mrs Brennan ti sta scrutando attentamente: cosa avrà letto sulla tua faccia nel momento in cui ti è arrivata la notizia? Cos’avrà percepito, oltre al tonfo del tuo cuore? “Ho pensato che le avrebbe fatto piacere avere una copia del diario, se così possiamo chiamarlo, che Lynn ci ha lasciato” sospira Mrs Brennan accavallando con grazia le gambe e ruotando leggermente la sedia imbottita. Cerchi di restare immobile, quasi trattieni il respiro, perché ricordi bene i gemiti insopportabili che può produrre la sedia che ti ospita.
“D’altra parte, Mr Williams” prosegue Mrs Brennan scuotendo leggermente il capo e deponendo lo sguardo trasparente su di te “è a lei che lo scritto di Lynn è dedicato: è giusto che ne abbia una copia.”
“Sono anni che non prendo psicofarmaci” dichiari con franchezza, mentre l’acqua intorno a te comincia a scottare. Un rapido gesto della mano matura sembra voler cancellare le tue parole.
“Non l’abbiamo pensato neanche per un attimo, Mr Williams, mi creda…”
“Non mi sono mai sottratto ad alcuna perquisizione” prosegui convinto, deciso a difendere ogni minuto, ogni ora, ogni energia spesa tra le mura di questo carcere.
Mrs Brennan scuote ancora il capo mostrando un debole sorriso. “La sua presenza qui è fondamentale” dice con semplicità, troncando di netto le tue congetture. Certo la giustizia deve fare il suo corso: ecco la frase odiosa che aspettavi. Sarà aperta un’inchiesta bla bla bla: le solite storie.
“Lynn aveva pianificato tutto con cura” continua intanto Mrs Brennan lanciando di tanto in tanto un’occhiata al monitor azzurro del computer. “Ha preso tutti in contropiede.”
Non ti è mai stato permesso visitare una cella, dunque, nonostante la tua antica esperienza in materia di sotterfugi e tesori nascosti, non riesci a immaginare dove Lynn possa aver stoccato una quantità così consistente di compresse. “Ogni genere di farmaco” precisa Mrs Brennan. “È altamente improbabile che possa cavarsela.”
La tensione dell’autodifesa, seguita alla spaventosa sorpresa della notizia, si sta allentando ormai nella malinconia. Lynn ha preso tutti in contropiede. Anche tu ti sei lasciato ingannare, nemmeno tu hai saputo leggere la sua angoscia silenziosa. Ormai è chiaro che non ti accuseranno di aver introdotto illecitamente dei farmaci in carcere, ma sicuramente vorranno indagare il tuo rapporto con Lynn, sospetteranno comportamenti scorretti, atteggiamenti preferenziali. Perché Lynn ha confessato a te, e soltanto a te, i segreti della sua vita e della sua morte?
“Per noi è molto importante...” e lo sguardo verde dondola pensoso nella tua direzione “Mi sta ascoltando, Mr Williams?”
“Francamente no.” Sorpreso in flagrante, ma non te ne frega niente. Tutte quelle parole piene di buon senso ti scivolano di dosso e rotolano via sul pavimento senza lasciare traccia.
“Lei esercita un forte ascendente sulle ospiti della nostra struttura.” Infatti. Oggi si possono ammirare i brillanti risultati del tuo lavoro.
“È fondamentale che l’attività con il suo gruppo non subisca interruzioni…”
Problema numero uno: la tua neonata rock-band carceraria, messa insieme con tanta fatica, ha appena perso la sua eccellente vocalist. Mrs Brennan pensa forse di invitare Sinead O’Connor a sostituire Lynn e la sua irlandesissima voce di cristallo?
“Inoltre le sue relazioni sono sempre così accurate, ricche di osservazioni acute…”
Quando hai frequentato l’inferno per un discreto numero di anni non hai certo bisogno del vocabolario per tradurre il linguaggio segreto dei dannati.
“Mr Williams, lei è un collaboratore prezioso e rappresenta un esempio per tutti noi: la sua forza di volontà è ammirevole. Lei è la prova vivente che un individuo può scegliere di trasformare radicalmente la propria esistenza…”
Come ti senti in questo insolito ruolo di eroe positivo? Avevi mai pensato di poter essere considerato un luminoso esempio di condotta esemplare? Gesù, se solo questa donna la smettesse di elencare tutte le virtù che non possiedi! Possibile che non sappia che le tue figlie ti sono capitate nella vita per una banale distrazione da abuso di alcol? Sta fingendo spudoratamente o davvero ignora che quel concepimento casuale ha generato un matrimonio bizzarro, costantemente afflitto dalle tue inquietudini e, da qualche anno, addirittura in bilico fra due diverse abitazioni?

(da "L'inutile guida" ed. Progetto Cultura, 2009 - prima puntata)

mercoledì 9 settembre 2009

Settembre

Il mese più detestabile in assoluto.
Lo odio per i suoi semi di morte, il suo linguaggio ambiguo, la fragilità e l'incertezza, petali e riso sul sagrato, grotteschi segni di speranza, illusioni isteriche. Odio le feste di paese, i comizi, l'uva e i cieli freddi e tutto quel vanaglorioso giallo.
Un tempo almeno in settembre avevo il conforto dei libri di scuola: l'odore delle pagine nuove, le promesse di fuga racchiuse in quei bordi ancora intatti, geometrici contenitori di speranza.

lunedì 7 settembre 2009

La sindrome del cassintegrato


Diciamolo chiaramente: a noi cassintegrati la Febbre Suina ci fa un baffo. A me, poi, mi fa anche meno. Proprio l’altro giorno ho tirato giù dalla mensola lo scafandro della foto: dopo averlo utilizzato con successo ai tempi dell’Aviaria, l’avevo riposto laggiù in un angolo della soffitta insieme al necessario per potenziarne l’efficacia. Il lungo nasone è già stato stipato di pezze impregnate di aceto e olio essenziale di melaleuca: una barriera che nessun miasma pestifero potrebbe mai superare.
Quanto ai lazzaretti – sì, proprio quelli di manzoniana memoria - li ho ispezionati tutti di recente e posso garantire che, dal Canton Uri alla Valle Olona, non ce n’è uno che non mi ispiri piena fiducia. Contro la Suina sono attrezzata, insomma.
Ma contro la Sindrome del Cassintegrato non c'è scafandro che tenga.
Sembra che non esista rimedio per quell'apatia che ti assale nelle ore insolitamente libere dal lavoro. La casa ha un'atmosfera ambigua nei pomeriggi di riposo forzato. La lista delle cose che uno potrebbe fare in alternativa al lavoro è interminabile, ma i progetti restano tutti lì accatastati uno sopra l'altro, intonsi come la pila di libri nuovi che non vien neanche voglia di attaccare perché dopo tre righe la concentrazione se ne va per fatti suoi (di solito torna nell'ufficio deserto).
Senso di inutilità. Identità smarrita. Un sottofondo costante di amarezza che ha l'odore del fallimento. È tale il torpore che neanche ti vien voglia di sequestrare un dirigente. Per carità, un pensierino ce lo fai anche quando li vedi che si siedono al tuo tavolo a fare il tuo lavoro dopo averti mandato a casa in cassa, però poi prevale lo sfinimento, o meglio, l'assuefazione allo sfruttamento, alla dignità calpestata. Ti senti né più né meno come una sedia pieghevole che quando non serve la ricompatti e la infili in qualche anfratto oscuro.
Sì perché per di più a noi lebbrosi di nuova generazione ci hanno resi invisibili. Non vogliono che suoniamo il campanaccio, che avvisiamo del nostro arrivo, niente rumore per carità!, non infrangete il sogno perennne - ci viene chiesto - non infrangete l'eterna giovinezza, la spensieratezza, l'infinita catena dello shopping-dunque-esisto, comprate, comprate, mimetizzatevi, siate camaleonticamente identici agli arricchiti, alzate il bavero della Lacoste lilla e ciabattate sicuri di aperitivo in aperitivo...
Mi sa che sono proprio un caso grave se la prospettiva di una domenica in un qualche ipermegasuper centro commerciale non riesce a iniettarmi fiducia nel futuro. Posso solo sperare nella nuova edizione del Grande Fratello.
O se è vero - per tornare in tema manzoniano - che la c'è la provvidenza, non resta che attendere il miracolo.

domenica 6 settembre 2009

Donne e topi

La giornata, che pure prometteva cieli radiosi e scintillanti, è iniziata con un topo - di dimensioni ragguardevoli - che giaceva smembrato sulla soglia di questa umile ma onesta dimora. Ne è conseguito un violento alterco fra la sottoscritta e l'arzilla benchè ormai vecchierella rappresentante della razza felina autrice del misfatto. La giornata, avendo preso una brutta piega, si sta svolgendo di conseguenza.

Chéri di Stephen Frears

Devo ringraziare il bluesman che, ieri sera, nel tentativo (temporaneamente riuscito) di trascinarmi fuori dalle mie ubbie lavorative, mi ha portata a vedere Chéri di Stephen Frears. L'indiscutibile bellezza dei due attori protagonisti vale già di per sè la visione. Per non parlare dei costumi (da urlo non solo le mise di Lea ma anche le cravatte viola di Chéri), degli arredi, dei giardini fioriti. E dei dialoghi.
Il genere di film di cui avevo bisogno in questo momento.

Da notare: Frances Tomelty - la prima signora Gordon Matthew Sumner in arte Sting - è una cameriera personale assolutamente perfetta. Anita Pallenberg però, nonostante le ricerche, non siamo riusciti a individuarla con precisione. Non si vince niente, sia chiaro, però il concorso "Che ruolo ricopre Anita Pallenberg nel film Chéri" non si è ancora chiuso.

N.B.

Quando questo blog subisce una battuta d'arresto che supera la settimana significa che si è verificato qualche intoppo psicofisico (in genere soprattutto psico) nella vita della sua titolare.