"Io in quella fase (‘83/’84) scrivevo per una fanzine che si chiamava “Komakino” (come uno dei più famosi bootlegs dei Joy Division) e in quelle pagine, lo ricordo bene, c’era tutta la voglia di tormento, introspezione e sofferenza tipici di quegli adolescenti che si sentono “diversi”, “speciali” e “non capiti”. Penso sia sempre stato così, ogni epoca ha avuto la sua valvola di sfogo. E pur nel suo essere irreggimentato, il post-punk era comunque una splendida valvola di sfogo. Era la musica giusta per chi si guardava attorno, accendeva la radio, veniva bombardato da Cecchetto, dalla disco-music, dal pop melodico italiano, dall’hard-rock più becero e gli faceva schifo tutto. Si chiudeva in camera, si immergeva nel tormento di Ian Curtis o si lasciava trasportare dal giro di basso di Peter Hook dei New Order in “Leave me alone” e così si sentiva capito. Per me il post-punk è sempre stato questo. Essenzialità, demagogia nella giusta dose (sempre misurata), senso di appartenenza, una capacità rinnovata di scavare nell’animo dei ragazzi, una capacità (questa si, davvero nuova) di “gestire” la freddezza. Un elemento nuovo. Finalmente, grazie al post-punk, non era più necessario sorridere o “suonare con calore” per esprimere certi sentimenti. Lo si poteva fare anche con una batteria elettronica, con un giro di basso scheletrico, con una chitarra gelida e lontana suonata come lo facevano i Diaframma. Insomma, nessuno vietava di farlo ma sorridere non era più un obbligo. Questa è una rivoluzione, anche se, va detto, in effetti c’era poco da sorridere in quei giorni, immersi come eravamo in incubi nucleari (Reagan Breznev, The Day After), nel riflusso più reazionario (erano gli anni di “Drive In”) e nella “Milano da bere” che era diventata “L’Italia da bere”. In quegli anni, parlo sempre dell’83/84, conducevo un programma in una piccola radio locale del mio paese, Radio Fidenza Onda Libera. Quel programma si chiamava “1984” (un altro riferimento a Orwell e a certi incubi…) e in studio, ricordo, ospitavo gruppi come Faded Image, Underground Life, Le Masque, tutte figure che erano totalmente calate in quella logica. Ed ero orgoglioso della mia diversità. Al contrario di come li vedeva la gente, ritenevo quei gruppi e quei suoni qualcosa di positivo e di vitale. Anche ripensandoci oggi, non sbagliavo di tanto.
tratto da "Post Punk o Dark: solo una questione di termini?", conferenza di Luca Frazzi al Moonlight Festival di Fano, 31 luglio 2009.
2 commenti:
Con tutta questa gente che fa conferenze e scrive libri sulla musica degli anni della mia giovinezza e tutti questi giovani gruppi che ci si ispirano e la reinventano comincio davvero a sentirmi vecchio (ma senza peso :-).
Però mi consolo constatando di non essere cresciuto.
Tutto nell'ordine naturale delle cose.
Ogni tanto, quando sono costretta a dire la mia età, mi faccio impressione da sola. Poi faccio finta di non averci pensato e via a comprare altri dischi...
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