venerdì 29 maggio 2009

Il regalo del giovedì sera

Dunque da qualche tempo accade che ogni giovedì sera, quando il bluesman mi lascia sola per andarsene a blueseggiare oltre confine, Gatta Matilde approfitta della mia distrazione da libri e pc per lasciare la casa al calar delle ombre. Non torna mai – la gatta, si intende – senza un regalino per me. Una sera una piccola, tenerissima talpa tutta zampette e pelo d’argento. Più spesso un topino terrorizzato. Il dono viene generosamente recapitato sullo zerbino – non c’è pericolo che uno non lo veda - di solito con grande tempismo, cioè nell’istante esatto in cui sto per andare a dormire.
Secondo me lo fa per consolarmi della serata passata in solitudine.

giovedì 28 maggio 2009

We love you Dave

Per quanto razionale io mi sforzi di essere, confesso che in qualche remoto angolo del mio cervello il pregiudizio secondo cui "gli eroi son tutti giovani e belli" resta invincibile. Perciò la prima reazione nell'apprendere questa notizia è quasi essenzialmente una sorta di stupore.
Poi però penso anche con quanto meticoloso impegno Dave Gahan in passato abbia cercato di disintegrarsi. E penso anche che esattamente tredici anni fa, il 28 maggio del 1996, qualcuno, all'Altro Mondo, ebbe tre minuti di indecisione: in quel caso l'overdose doveva essere tosta, indubbiamente, ma forse all'Altro Mondo non avevano ancora voglia di prendersi Dave Gahan. Tre minuti di indecisione. Tre minuti a cuore fermo. Infine Dave fu abbandonato lì, sul ciglio della vita, facile preda delle ferree leggi californiane che non ammettono l'autodistruzione e costringono alla redenzione.

La morale, ammesso che ce ne sia una, ognuno la tragga da sè.
Io mi limito ad essere convinta che Dave se la caverà ancora, come sempre.

mercoledì 27 maggio 2009

New Wave Renaissance

Servita su un piatto d'argento. Ufficialmente dichiarata con questo festival.
Ogni tanto succede anche qualcosa di sorprendentemente bello a questo mondo.

Mi sembra un'iniziativa degna di nota.
Non sarebbe male farci un salto.
Ma il bluesman di casa: chi me lo convince?
Ah, il guaio dei matrimoni misti...

martedì 26 maggio 2009

E la chiamano estate...

Scrivo poco, mi dicono. Ho i miei motivi, dico io.
Sarà che ogni energia sana la dedico al tedesco, che mi sembra l’iniziativa più costruttiva, di questi tempi.
Poi a sbattermi a terra c’è l’incalzare della cassa integrazione con tutto quel che ne consegue: non solo riduzione dello stipendio ma orari sballati, assoluta mancanza di programmazione, perdita di contatto col lavoro, allentamento dei rapporti coi fornitori (in cassa pure loro), dequalificazione professionale. In sintesi: scazzo.
Poi c’è la malinconia dell’estate, con tutte le sue false promesse, i suoi semi di morte, i segreti e la desolazione, marciume e disfacimento nelle boscaglie maleodoranti. Tutto questo mi scaraventa in un passato odioso. Tutto questo mi fa solo desiderare intensamente di essere altrove.

domenica 24 maggio 2009

venerdì 22 maggio 2009

Una perfetta identità tra il Wilde delle favole e il Wilde di De Profundis

"[...]Riscontriamo una perfetta identità tra il Wilde delle favole e il Wilde di De Profundis. […]
Le favole costituiscono [...] una teoria di esempi – di conferme – dell’inutilità sociale e dell’incapacità eversiva del sacrificio. E ne mostrano la funzione d’ordine catartico a vantaggio esclusivo di chi lo compie. Come il figlio di Dio, che non viene compreso dagli uomini, ma verrà esaltato dal Padre, così the Happy Prince, dopo essersi privato dell’ultima lamina d’oro e persino degli occhi, verrà prescelto per lodare Dio in the city of gold.[…]

Fino all’ultimo Wilde giocò con le idee, recitò con le emozioni. Riteniamo anche noi «che si potrebbe chiamare la seconda leggenda di Oscar Wilde [quella] secondo la quale un cinico di spirito, ma superficiale, fu trasformato dalla sofferenza in un martire pensoso»(Barzun). Perché Wilde non subì alcuna conversione. Non venne affatto “trasformato” dalla sofferenza:
essa era già ben presente e radicata nel suo spirito al tempo della composizione delle favole. E anche perché Wilde non fu mai superficiale, ma sempre e soltanto l’artista che della sofferenza – non importa se di Cristo, dei protagonisti delle favole o sua personale – volle e seppe cogliere solo il lato artistico-estetico, la bellezza. E questo, che lo si giudichi un limite o un grande pregio, costituisce comunque l’asse portante della sua concezione etica.
[…] Pur se filtrata attraverso il sintetico linguaggio infantile, la concezione wildiana (secondo la quale il sacrificio di Cristo è una cosa bella) emerge dunque chiaramente e appare in sintonia con lo schema desumibile da De Profundis. Opera in cui Wilde stesso ammette: «Questa vita nuova[…] non è naturalmente affatto una vita nuova, ma semplicemente il seguito, per via di sviluppo e di evoluzione, della mia vita precedente». Tutto era già «adombrato e prefigurato» nelle precedenti opere. «Ce n’è qualcosa in The Happy Prince», aggiunge l’artista, «qualche cosa ancora in The Young King, particolarmente nel passo in cui il vescovo dice al ragazzo inginocchiato: “Is not He who made misery wiser than thou art?” ». Ma si tratta di una frase che «quando la scrissi mi appariva poco più di una frase».
Quest’ultima precisazione chiarisce forse il senso circa l’equivoco della trasformazione del cinico in martire pensoso. In sostanza parrebbe che il cinico avesse già scritto, senza comprenderlo pienamente, ciò che poi il martire pensoso avrebbe in toto sottoscritto, una volta subita (cercata, voluta) l’esperienza catartica della sofferenza."

Franco Buffoni, in "Carmide a Reading", Edizioni Empirìa 2002


martedì 19 maggio 2009

Approvazione della “loi Hadopi”: due o tre considerazioni a margine

E’ ancora da vedere se Bruxelles metterà o meno i bastoni fra le ruote a Sarkozy e, quand’anche la legge dovesse essere applicata, resterebbe da valutarne l’efficacia. L’unica obiezione che mi sento di sollevare contro questo provvedimento riguarda la sua effettiva applicabilità: mi chiedo cioè se non sia già pronto un escamotage informatico che permetta di aggirare controlli e sanzioni.
Ciò premesso devo dire che trovo un po’ irritante l’atteggiamento di chi si oppone all’ Hadopi in quanto “legge liberticida”: definire liberticida un provvedimento che ha lo scopo di tutelare la proprietà – anche se intellettuale, dunque intangibile, sempre di proprietà si tratta – equivale a rivendicare il diritto al furto. O vogliamo metterci comodi e rivedere alla radice il concetto di proprietà?

Perché mi pare che, alla fine, il nocciolo della questione sia proprio questo: non è il concetto di proprietà a vacillare; è piuttosto il valore della proprietà ad essere soggetto a delle variabili e, nel caso della proprietà intellettuale, per il sentire comune, il valore è ormai crollato vertiginosamente a zero.
“Che cosa faccio di male se scarico i cartoni animati per mia figlia?” chiede il collega che subito si autoassolve “Sono solo cartoni animati, c****, non dovrò mica andarmeli a comprare, no?”
Sono solo cartoni animati, è roba per bambini, roba di nessun valore, insomma. Anche un passeggino è roba per bambini: sono dunque autorizzata a sottrarre al collega il passeggino della figlia senza il suo consenso?
Il concetto di base è che il cartone animato è sempre e comunque qualcosa di frivolo. Al collega non passa nemmeno per la testa che il cartone animato possa avere un valore educativo, che in ogni caso sia il frutto di un lungo lavoro di più persone. Non ha nessuna importanza che all’origine di quel cartone animato ci sia un’idea e lo sforzo di riprodurla, tradurla in immagini, suoni, parole.
Dovrei forse ritenere meno colpevole l’altra collega, quella che scarica le composizioni di Beethoven che la figlia ha studiato a scuola con la scusa che tanto in questo caso parlare di diritto d’autore non ha più senso? Niente affatto, io vedo il reato anche qui. In questo caso il furto avviene ai danni dell’industria discografica e di chi ci lavora. Non solo: in automatico la collega trasmette alla figlia un messaggio disastroso. Tanto per cominciare la collega non insegna alla figlia a frequentare i negozi di dischi contribuendo così a radicare ed estendere la crisi del commercio discografico; inoltre - ciò che è più grave - veicola nella mente della bimba il concetto che la musica non merita lo sforzo di un acquisto e non intendo solo lo sforzo economico. Si dà per scontato che l’impegno di prendere la macchina, andare in centro, parcheggiare e raggiungere il negozio a piedi sia destinato all’acquisto di un paio di scarpe, di un qualsiasi capo d’abbigliamento ma non certo alla ricerca di un cd. E’ molto banalmente così, attraverso le scelte di ogni giorno che si insegna ai bambini il valore delle cose, o meglio si trasmette loro una scala di valori. Ciò che si deposita nella testa di un bambino è che la musica è un oggetto di consumo che vale infinitamente meno di un paio di infradito. La musica resta per i bambini di oggi un concetto molto astratto, relegato sempre e comunque all’ambito del superfluo. Conosco ragazzini che stentano a crederti quando gli dici che esistono negozi dove puoi comprare i cd di questo o dell’altro artista, e se gli metti in mano un compact disc corredato di copertina originale, libretto, foto, testi, commenti, se lo rigirano tra le mani quasi per capire dove stia l’inganno.
Mi causa non poco turbamento sapere che, incidentalmente, ho incrociato una rotta filogovernativa. Ma ad essere in gioco qui, al di là di qualsiasi schieramento politico è il valore della creatività.
Sarò anche – in questo caso - conservatrice, ma quello che penso è che chi vive della propria creatività debba essere difeso.
Se una legge come l'Hadopi serve allo scopo io sono favorevole, senza mezzi termini.

lunedì 18 maggio 2009

Un delirio

"In questi quattro mesi i lavoratori dipendenti e pensionati hanno aumentato il loro potere d'acquisto e quindi i risparmi, perchè i prezzi sono crollati. Si tratta di 35 milioni di lavoratori, perchè 500mila sono i cassintegrati e disoccupati, a cui è aumentato il potere d'acquisto, da trasformare in consumi"

Volgare spudoratezza fascista.
Arrogante, insopportabile propaganda di regime.

“Something must break”, 1980-2009

“He killed himself on Saturday night. I couldn’t believe it. He must have been a pretty good actor. We didn’t have a bleeding clue what was going on. You tried to help him with your limited experience and you did what you could, but as soon as you left him he went back, you know?” (Peter Hook)

“The week before, we went and bought all these new clothes; he was really happy” (Rob Gretton)

“I don’t think Ian was worried about the American tour” (Bernard Sumner)

“If he was depressed, he kept it from us” (Steve Morris)

I believe Ian chose his deadline. It was important to keep up the charade in front of the band in case they tried to dissuade him. The only reason he was no longer worried about the American trip was because he knew that he wasn’t going.

(Deborah Curtis “Touching from a distance”, Faber and Faber, 1995)

sabato 16 maggio 2009

Chi li capisce è bravo

Questa mattina, arrivata a Varese, la prima cosa che ha rapito il mio sguardo mentre scendevo dall'auto, è stato un manifesto elettorale bianco e verde che recava la scritta: "Welcome to Varese, the capital of Padania". Presuntuosi? No, pagliacci.

martedì 12 maggio 2009

Lo sapevo

Ecco: adesso comincia la stagione in cui bisognerebbe possedere il dono dell’ubiquità e un portafoglio a fisarmonica dotato di autoalimentazione (leggi: fenomeno di generazione spontanea delle banconote); indispensabile poi la totale assenza di impegni di qualsiasi natura.
Non potendo disporre ahimè di nessuno dei sopraelencati requisiti, dubito che trarrò profitto dall’abbondanza di concerti che stanno per scatenarsi a raffica nei luoghi più disparati della penisola. Diamanda Galas, ad esempio, me la perderò di nuovo. Vabbè. Oltre al
già chiacchierato Morrissey. E mi sa che l'elenco è destinato ad allungarsi.

sabato 9 maggio 2009

Inquietudini di primavera

Sono solo io dunque a diffidare delle apparenti dolcezze della primavera? Solo io percepisco l'inquietudine che serpeggia in tanta vistosa abbondanza?
Ma no, anche Sylvia Plath è sulla mia lunghezza d'onda. Ecco cosa scrive il 19 aprile del 1962:

"Mi terrorizza questa cosa scura
che dorme in me;
tutto il giorno ne sento il tacito rivoltarsi piumato, la malignità"

E un mese dopo, in un "luogo di forza" dove la natura non si trattiene:

"Sentii in bocca la malignità della ginestra,
i suoi aculei neri,
l'estrema unzione dei suoi gialli fiori-candela.
Avevano un'efficienza, una grande bellezza,
ed erano esagerati, come una tortura."

Solo un ingenuo potrebbe rilassarsi e godere di questa campagna placida e grassa:

"L'assenza di grida
apriva un buco nel giorno ardente, un vuoto."

E di nuovo se la prende coi papaveri, Sylvia, che già aveva accusato di essere troppo rossi.

"Piccoli papaveri, piccole fiamme d'inferno,
non fate male?
[...]
E mi spossa il guardarvi
così tremolanti, grinzosi e rosso vivo, come la pelle di una bocca"

I poveri papaveri che ormai per me significano solo la snervante attesa della prostituta sul ciglio della tangenziale.
Ho consumato dunque tutta la mia dose di onesto e ingenuo candore? O non ne sono mai stata provvista in modo adeguato?

giovedì 7 maggio 2009

In memoriam

C’è chi ride e c’è chi piange,
lei dorme, dorme
e intorno al suo riposo spuntano fiori di campo.
Lì il vento accumula
le più dolci dolcezze della scorta dell’estate,
accanto a campi di grano maturo.

Lì i gigli, e la rosa rossa
incupisce. Lì finchè l’ultimo sole
avvampa a occidente, cantano
i tordi, e una brezza fresca
accarezza le foglie quando la sera tace.

Di giorno lì canta l’allodola
e spuntano erbe di ogni sorta
di notte volteggia la nottola,
e senza sosta il vento porta
lo scampanio di chiese lontane.

Notte e mattino, meriggio e crepuscolo,
quel suono porta il Paradiso nei suoi sogni.
La lunga notte è terminata:
finchè le saranno strappate le funebri bende,
è questa la buona sorte assegnata
alla sua anima che riposa assolta.

Christina Rossetti “Sound sleep”, traduzione Giuliana Scudder, Rizzoli 1995

lunedì 4 maggio 2009

Dark inside

Il concertino punk nella caverna buia che faceva tanto Londra-anni-’70 non è stato affatto male: la band era agguerrita al punto giusto ed è stato un ripassino interessante, insomma, tanto più che fa sempre piacere vedere degli energici rocker attempati in azione.
Il lato dolente della faccenda è stato tirare quasi mattina in un locale affumicato e affollato per lo più di ventenni in presunto gran spolvero dark. Ora, è proprio questo il punto. Pare che il dark stia ritornando di moda fra i ventenni, il che, secondo la logica storica dei corsi e ricorsi, non fa una piega; anche la mia amica bolognese mi ha confermato che alla piazzola, cioè al mercato che si svolge ogni venerdì e sabato, sono ricomparsi gli stand (pardon, i banchétti) specializzati in chincaglierie gotiche. Ho avuto anch’io il mio bel periodo in cui per uscire di casa mi ci volevano due ore di trucco, cotonatura e vestizione (e mai senza guanti, di cui avevo un campionario invidiabile per tutte le stagioni) ma la divisa esprimeva una filosofia di vita, un’attitudine, un lamento. E, soprattutto, la divisa non era volgare. Poteva essere eccessiva, magari, ma mai scollacciata. Il nero d’ordinanza io lo portavo sempre, giorno e notte, ai concerti come all’università.
L’altra notte mi sono trovata invece a contendere i pochi sgabelli liberi con ragazzine che si erano cambiate (cioè spogliate) in macchina, presumibilmente di nascosto dai genitori: l’esposizione delle gambe inguainate in calza a rete era la regola, direi che l’esposizione di quanta più carne possibile era la regola. Ora, non è che io sia propriamente una bacchettona, intendiamoci; ma non so immaginare niente di più grottesco che ascoltare i Joy Division avendo sotto gli occhi una schiera di creature in dresscode burlesque/bordello. Che cos’hanno a che vedere queste scollatissime, attillatissime ragazze seminude, pensavo, con l’orrore per la carne di Pornography, con l’erotismo decadente dei Depeche Mode o di Siouxsie o ancora con l’ansia di trascendenza che si liberava a metà anni ’80 da tanta produzione 4AD?
Insomma ho fatto le tre sbadigliando, contemplando annoiata i numeri da circo che mi sfilavano davanti, sperando solo che il nuovo giorno mi restituisse la mia banale voglia di godere degli incanti cittadini.
L’indomani, passeggiando sotto le snelle navate della Basilica di San Petronio, al sicuro nelle umide cripte a incastro in Santo Stefano, ho finalmente ritrovato le mie coordinate.
I miei personali codici etici ed estetici, richiamati da tanta semplice, austera bellezza, si sono automaticamente ricomposti. Ripensavo la voce di Ian Curtis, l'algida purezza dei sintetizzatori in Atmosphere, la stanchezza, la disillusione, il bisogno di assoluto...
Di sicuro, l’altra notte, al Covo ad ascoltare i Joy Division non ero io quella fuori posto.

domenica 3 maggio 2009

...ovvero la realtà supera sempre la fantasia


"Entriamo finalmente in città e io mi sforzo di ripercorrere gli avvenimenti della notte scorsa per recuperare un po’ di lucidità e mettere ordine nel presente. Brian ed Eric sono vittime conclamate dei festeggiamenti che si sono protratti oltre l’alba, mentre Alex ed io non dormiamo da due giorni. Gordon continua ad assisterci eroicamente. Ho un ricordo piuttosto confuso del dopo concerto: il ristorante vegetariano e la tavolata notturna nella veranda aperta su un giardino misterioso, poi vini straordinari e un’ampia scelta di caramelle magiche. Quello che mi sfugge del tutto, e che invece dovrei assolutamente ricordare, è il nome della ragazza che ci sta aspettando, da qualche parte, in qualche antico palazzo, mi è stato detto, in uno dei vicoli assolati che comincio a intravedere.
“Centro storico” dichiara Flavio infilando repentinamente l’auto nell’unico parcheggio disponibile “Da qui in poi meglio andare a piedi, visto che non abbiamo la bicicletta.”
Muoviamo finalmente i primi passi sulle pietre bianche di sole, circondati da un incanto che mi stordisce. Realizzo a un tratto che Alex deve avere un mal di testa accecante e nonostante lui neghi qualsiasi malessere ho il terrore che possa svenire da un momento all’altro. Non so resistere alla tentazione di passargli un braccio attorno alle spalle e lui mi cinge la vita, la sua testa contro la mia, e così avvinghiati proseguiamo come pellegrini in un deserto sconosciuto. Ho all’improvviso una visione istantanea ma nitidissima della mia Londra e dei suoi marciapiedi umidi e affollati, e il mio cuore, per un attimo, si allaga di nostalgia.
A un tratto la nostra guida imbocca un androne freddo d’ombra e ci comunica che siamo arrivati.
“Marika sta difendendo questo posto con i denti” spiega Flavio introducendoci nel cortile “ma entro la fine del mese se ne dovranno andare tutti. La polizia li ha già fatti sgomberare più di una volta ma loro sono sempre riusciti a ritornare”
“Cosa ne vogliono fare?” Alex si leva gli occhiali da sole e il suo sguardo percorre meravigliato il cortile intero, invaso da un’avida vegetazione selvaggia, e lo stupefacente edificio dalla superficie increspata di verde: tra l’edera fitta di secoli si scorgono i buchi neri delle finestre e un lungo ballatoio carico di vasi fioriti.
Un soffio gelido mi sfiora all'improvviso e io capisco che Alex non è più al mio fianco: si è staccato dal gruppo ed è finito in un angolo del cortile dove, tra sterpaglie d’ogni sorta, si è perso in contemplazione di una enorme statua, una figura mitologica massiccia, gigantesca, il viso arcigno e inquietante sormontato da due brevi corna.
“Secondo te che roba è?” mi domanda non appena lo raggiungo e subito sento il bisogno di circondargli le spalle con un braccio.
Flavio e Gordon si sono già avviati verso l’antro di ingresso del palazzo dove spicca un’assurda targa di lucidissimo ottone, in aperto contrasto con l’aspetto decadente dell’edificio: non posso credere che questa sia la sede di una organizzazione statale, eppure la bandierina smaltata che sventola immobile in un angolo della placca non lascia supporre altro.
Iniziamo la scalata agli ampi gradini settecenteschi e sul primo pianerottolo ci investe il gesto minaccioso di una statua quasi identica a quella scoperta da Alex tra le erbacce; a fianco del gigante, da una porticina di legno a due stretti battenti sbuca un sacco della spazzatura seguito da un’esile ragazza bionda."