Fra le parole che Deirdre accumula morbide e regolari sopra il lavoro a maglia capti a un tratto il nome di Mrs Brennan. Certo non ti è sfuggita la perplessità con cui Mrs Brennan ha accolto la tua decisione: quando ti sei affrettato a spiegarle che Sandra ti avrebbe sostituito brillantemente lei ha detto con molta semplicità di non avere dubbi in proposito, ma la sua mente era altrove. Mr Williams, lei deve pensare a se stesso, ha detto all’improvviso, interrompendoti, gli occhi stanchi fissi su di te, come in attesa. Le ragazze in carcere sono al sicuro, sembrava dire, ma tu non lo sei affatto.
Di cosa ti sei mai illuso? La gente come te non guarisce mai, dovresti saperlo. Hai solo imparato a difenderti da te stesso. E questo silenzio, questa monotona prevedibilità è il prezzo da pagare. A chi interessa sapere che a 12 anni vivevi trascinandoti nella testa interi blocchi di Les fleurs du mal o che ti sei letto tutto Camus di nascosto sotto il banco durante le lezioni di chimica? Tutto questo non è più moneta corrente, né qui né altrove. Qui a nessuno interessa quella tua fame dell’anima, quell’impazienza divorante che aveva fatto di te un autodidatta precoce. Era una specie di furibonda speranza ciò che ti faceva passare da un innamoramento all’altro, il bisogno di aprirsi un varco e respirare, vedere un po’ d’azzurro. Era stato per amore dei lieder di Schubert, per la golosità di quelle parole nuove, di nuovi sogni, che avevi rubato una grammatica tedesca dalla biblioteca della scuola. Non fosse stato per gli episodi di irriverenza feroce, i repentini moti di insubordinazione che scalfivano la tua preoccupante timidezza, ti saresti guadagnato senza alcun dubbio la fama di bambino prodigio. Ma il tuo sguardo andava ben oltre la piccola realtà che avevi attorno. Tutto ciò che desideravi era di essere lasciato libero. Dal giorno in cui hai aperto gli occhi su questo mondo tu non hai fatto altro che desiderare di essere altrove. Sei sempre stato perfettamente consapevole della tua condizione di accessorio superfluo della famiglia. Un’appendice inutile, una presenza del tutto casuale. Perciò hai imparato in fretta a ritirarti nella scatola delle tue fantasie: hai sempre e solo cercato di procurare il minor fastidio possibile. Ogni frammento di conoscenza rappresentava un gradino verso la libertà: ampliava il tuo mondo interiore e lo arricchiva, ti permetteva di prendere il largo e visitare nuove terre, nuovi sogni e modellare i compagni di viaggio che ti sarebbe piaciuto avere accanto. Lamusica di Debussy aveva su di te un potere ipnotico; potevi trascorrere pomeriggi interi a suonare Children’s Corner: se chiudevi gli occhi vedevi distintamente i fiocchi di neve posarsi delicati e lievi sui tasti del pianoforte, sui gradini di una vecchia casa di Parigi, vedevi tutta Parigi attraverso i boulevards ghiacciati ornati di alberi scheletrici, e una ragazzina - la solita - con una lunga sciarpa di lana intorno al collo usciva da una boulangerie e sentivi sotto le dita i tasti gelidi e le note soffici e oblique come i sogni. Era uno stordimento irresistibile che solo quelle armonie impalpabili riuscivano a procurarti, quasi il bisogno fisico di essere risucchiato da una spirale misteriosa, popolata di presenze amiche. Tutti quei luoghi, quelle persone, vivevano e crescevano dentro di te come deliziosi parassiti, come amici segreti cui ti rivolgevi d’istinto quando la realtà diventava noiosa e insopportabile. Costituivano il tuo mondo parallelo. Erano la tua via di fuga, la tua sola salvezza.
Per qualche strana ragione ogni particolare era ritornato a galla intatto, con lo stesso profumo struggente, nell’istante in cui ti eri trovato incatenato allo sguardo autorevole della dottoressa White. Sotto quel guscio caldo che avresti facilmente confuso con la cabina del capitano di un antico veliero non fosse stato per i disegni infantili alle pareti, la tua nuova città straniera, la città che aveva accolto la tua vita disastrata si stava muovendo al ritmo di ogni giorno, indifferente, laboriosa, tollerante. Dopo una buona mezz’ora trascorsa unicamente a singhiozzare tutta la tua disperazione, mentre la dottoressa White ti osservava tranquilla dall’altra parte della scrivania di legno scuro, le primissime parole che eri riuscito a pronunciare erano state per Elise. Trascinato a riva dalle lacrime, sulla spiaggia sassosa di Hastings era riaffiorato il primo autentico sogno della tua vita e finalmente gli stavi dando voce, gli davi il posto che gli spettava, finalmente, e sentivi di meritare un risarcimento per la sua scomparsa e chiedevi conto di quell’ingiustizia. Stremato e in ginocchio, al capolinea delle tue sofferenze, al tribunale dei tuoi errori, non avevi forse diritto a controbilanciare le accuse?
Elise era stata irraggiungibile da subito. Una bellezza metafisica che aveva folgorato la tua esistenza anonima di bambino qualunque. Un’autentica principessa che si degnava di alloggiare presso quegli sgangherati dei tuoi vicini di casa. Mamma, perché non ospitiamo anche noi delle studentesse straniere in estate?, ti ostinavi a chiedere pur conoscendo già le risposte: lo sai, tuo padre non vuole estranei per casa; oppure: lo sai, tuo padre dice che noi non abbiamo bisogno di quei soldi.
Così, la speranza di poter stabilire un contatto con una principessa francese come Elise restava confinata dietro i vetri della finestra da cui spiavi il suo ritorno dalle lezioni. Non sarebbe servito a nulla dirle che il tuo cuore poteva dilatarsi a dismisura, fino a contenere tutto l’amore, tutta l’ammirazione che provavi per i suoi lunghi capelli biondi, per la nobile indifferenza attraverso cui considerava il mondo. Tutto ciò che ti veniva concesso era immagazzinare nella tua anima quanti più particolari possibile: dallo scatto altezzoso del capo per ricondurre all’ordine il mantello della chioma, all’esile collo sempre fasciato da un foulard. Dentro il tuo letto illuminato dalla luce d’estate, iniziavi la giornata attendendo con trepidazione l’arrivo del postino che, prima di toccare il cancello di casa tua, aveva forse maneggiato e depositato nella cassetta di Mrs Butterfield una lettera proveniente dalla Francia. Una lettera per Elise. Il resto dei particolari, tutti i particolari, arrivavano da Robert e Sarah. Grazie al preziosissimo sodalizio con i gemelli di Mrs Butterfield avevi potuto prendere parte a quella indimenticabile passeggiata serale sul lungomare e ti era finalmente stato possibile camminare a pochi centimetri di distanza da Elise. Era la tua grande occasione: avresti addirittura potuto rivolgerle la parola. Il profumo croccante dei dolci è ancora lì intatto nella tua memoria, insieme alle zaffate di pesce e patatine fritte e agli involucri unti fra le mani delle compagne di Elise. Lei impeccabile, flessuosa, le dita che fermavano carezzevoli la chioma liscia strattonata dal vento, elargiva sorrisi con la cortesia formale di una principessa in visita ad un paese straniero. La sua classe innata le consentiva di tollerare con grazia la costrizione di una passeggiata con dei minuscoli esseri insignificanti, quando era chiaro che lei avrebbe voluto essere altrove. La verità ti aveva raggiunto come una freccia dritta nel cuore: si lascia toccare, dicevano Sarah e Robert, ha un ragazzo, un francese del suo gruppo, lei la sera esce di nascosto, l’abbiamo vista baciarsi, e lui la toccava.
Era dunque questo che si nascondeva sotto l’impazienza trattenuta della tua principessa? Era dunque a causa di quel francese alto e magro come un rastrello, era per via di quello spaventapasseri dalla zazzera spiovente sugli occhi scuri, era per quei suoi modi affettati da signore che tu venivi ricacciato in un angolo come un burattino senza vita, dimenticato per la sua totale inutilità?
Il conforto dei gemelli di Mrs Butterfield si era rivelato fondamentale per la tua sopravvivenza. Robert e Sarah, che condividevano con te l’ambigua condizione di ultimi arrivati in famiglia, erano diventati dei compagni di vita insostituibili: la vostra era fondamentalmente una società di mutuo soccorso contro fratelli e sorelle maggiori, contro le loro angherie e i loro dischi dei Beatles.
Sarebbe stato tutto più sopportabile se aveste potuto frequentare la stessa scuola, le stesse lezioni di religione, sperimentare insieme l’angoscia della Prima Comunione e delle cose da dire e da non dire dentro il confessionale. Invece c’era qualcosa di indefinibile a dividervi, qualcosa che non venivamai nominato e tantomeno messo in discussione. Qualcosa che aveva permesso a Mrs Butterfield di avere cinque figli da tre mariti, l’ultimo dei quali scandalosamente più giovane di lei. Avevi la sensazione che fosse lo stesso indefinibile qualcosa a fare di Mrs Butterfield una donna spiritosa e piena di vita che metteva in lavatrice gli stivali di gomma assieme alle mutande e stendeva ad asciugare le camicie con le maniche arrotolate. Era forse per via di quei lunghi capelli neri scarmigliati, la carnagione da zingara e le maglie scollate, forse per via di quel marito dai riccioli biondi che concedeva qualsiasi cosa ai bambini, era forse per l’insieme di tutte queste disastrose ragioni che mamma si sentiva in dovere di dare una mano a quella povera Heather, preparandole tonnellate di torta al rabarbaro o prelevando enormi ceste di panni da stirare. Saranno anche stati una famiglia di atei scombinati, come era solito definirli tuo padre, ma era evidente che mamma non avrebbe rinunciato per niente al mondo alla loro imprevedibile compagnia. Quanto a te, avresti dato qualsiasi cosa per farti adottare da Mrs Butterfield: avresti pagato volentieri il pegno di andare a scuola con qualche patacca di marmellata sulla maglia pur di iniziare la giornata con una lotta di cuscini insieme a Robert e Sarah.
Di cosa ti sei mai illuso? La gente come te non guarisce mai, dovresti saperlo. Hai solo imparato a difenderti da te stesso. E questo silenzio, questa monotona prevedibilità è il prezzo da pagare. A chi interessa sapere che a 12 anni vivevi trascinandoti nella testa interi blocchi di Les fleurs du mal o che ti sei letto tutto Camus di nascosto sotto il banco durante le lezioni di chimica? Tutto questo non è più moneta corrente, né qui né altrove. Qui a nessuno interessa quella tua fame dell’anima, quell’impazienza divorante che aveva fatto di te un autodidatta precoce. Era una specie di furibonda speranza ciò che ti faceva passare da un innamoramento all’altro, il bisogno di aprirsi un varco e respirare, vedere un po’ d’azzurro. Era stato per amore dei lieder di Schubert, per la golosità di quelle parole nuove, di nuovi sogni, che avevi rubato una grammatica tedesca dalla biblioteca della scuola. Non fosse stato per gli episodi di irriverenza feroce, i repentini moti di insubordinazione che scalfivano la tua preoccupante timidezza, ti saresti guadagnato senza alcun dubbio la fama di bambino prodigio. Ma il tuo sguardo andava ben oltre la piccola realtà che avevi attorno. Tutto ciò che desideravi era di essere lasciato libero. Dal giorno in cui hai aperto gli occhi su questo mondo tu non hai fatto altro che desiderare di essere altrove. Sei sempre stato perfettamente consapevole della tua condizione di accessorio superfluo della famiglia. Un’appendice inutile, una presenza del tutto casuale. Perciò hai imparato in fretta a ritirarti nella scatola delle tue fantasie: hai sempre e solo cercato di procurare il minor fastidio possibile. Ogni frammento di conoscenza rappresentava un gradino verso la libertà: ampliava il tuo mondo interiore e lo arricchiva, ti permetteva di prendere il largo e visitare nuove terre, nuovi sogni e modellare i compagni di viaggio che ti sarebbe piaciuto avere accanto. Lamusica di Debussy aveva su di te un potere ipnotico; potevi trascorrere pomeriggi interi a suonare Children’s Corner: se chiudevi gli occhi vedevi distintamente i fiocchi di neve posarsi delicati e lievi sui tasti del pianoforte, sui gradini di una vecchia casa di Parigi, vedevi tutta Parigi attraverso i boulevards ghiacciati ornati di alberi scheletrici, e una ragazzina - la solita - con una lunga sciarpa di lana intorno al collo usciva da una boulangerie e sentivi sotto le dita i tasti gelidi e le note soffici e oblique come i sogni. Era uno stordimento irresistibile che solo quelle armonie impalpabili riuscivano a procurarti, quasi il bisogno fisico di essere risucchiato da una spirale misteriosa, popolata di presenze amiche. Tutti quei luoghi, quelle persone, vivevano e crescevano dentro di te come deliziosi parassiti, come amici segreti cui ti rivolgevi d’istinto quando la realtà diventava noiosa e insopportabile. Costituivano il tuo mondo parallelo. Erano la tua via di fuga, la tua sola salvezza.
Per qualche strana ragione ogni particolare era ritornato a galla intatto, con lo stesso profumo struggente, nell’istante in cui ti eri trovato incatenato allo sguardo autorevole della dottoressa White. Sotto quel guscio caldo che avresti facilmente confuso con la cabina del capitano di un antico veliero non fosse stato per i disegni infantili alle pareti, la tua nuova città straniera, la città che aveva accolto la tua vita disastrata si stava muovendo al ritmo di ogni giorno, indifferente, laboriosa, tollerante. Dopo una buona mezz’ora trascorsa unicamente a singhiozzare tutta la tua disperazione, mentre la dottoressa White ti osservava tranquilla dall’altra parte della scrivania di legno scuro, le primissime parole che eri riuscito a pronunciare erano state per Elise. Trascinato a riva dalle lacrime, sulla spiaggia sassosa di Hastings era riaffiorato il primo autentico sogno della tua vita e finalmente gli stavi dando voce, gli davi il posto che gli spettava, finalmente, e sentivi di meritare un risarcimento per la sua scomparsa e chiedevi conto di quell’ingiustizia. Stremato e in ginocchio, al capolinea delle tue sofferenze, al tribunale dei tuoi errori, non avevi forse diritto a controbilanciare le accuse?
Elise era stata irraggiungibile da subito. Una bellezza metafisica che aveva folgorato la tua esistenza anonima di bambino qualunque. Un’autentica principessa che si degnava di alloggiare presso quegli sgangherati dei tuoi vicini di casa. Mamma, perché non ospitiamo anche noi delle studentesse straniere in estate?, ti ostinavi a chiedere pur conoscendo già le risposte: lo sai, tuo padre non vuole estranei per casa; oppure: lo sai, tuo padre dice che noi non abbiamo bisogno di quei soldi.
Così, la speranza di poter stabilire un contatto con una principessa francese come Elise restava confinata dietro i vetri della finestra da cui spiavi il suo ritorno dalle lezioni. Non sarebbe servito a nulla dirle che il tuo cuore poteva dilatarsi a dismisura, fino a contenere tutto l’amore, tutta l’ammirazione che provavi per i suoi lunghi capelli biondi, per la nobile indifferenza attraverso cui considerava il mondo. Tutto ciò che ti veniva concesso era immagazzinare nella tua anima quanti più particolari possibile: dallo scatto altezzoso del capo per ricondurre all’ordine il mantello della chioma, all’esile collo sempre fasciato da un foulard. Dentro il tuo letto illuminato dalla luce d’estate, iniziavi la giornata attendendo con trepidazione l’arrivo del postino che, prima di toccare il cancello di casa tua, aveva forse maneggiato e depositato nella cassetta di Mrs Butterfield una lettera proveniente dalla Francia. Una lettera per Elise. Il resto dei particolari, tutti i particolari, arrivavano da Robert e Sarah. Grazie al preziosissimo sodalizio con i gemelli di Mrs Butterfield avevi potuto prendere parte a quella indimenticabile passeggiata serale sul lungomare e ti era finalmente stato possibile camminare a pochi centimetri di distanza da Elise. Era la tua grande occasione: avresti addirittura potuto rivolgerle la parola. Il profumo croccante dei dolci è ancora lì intatto nella tua memoria, insieme alle zaffate di pesce e patatine fritte e agli involucri unti fra le mani delle compagne di Elise. Lei impeccabile, flessuosa, le dita che fermavano carezzevoli la chioma liscia strattonata dal vento, elargiva sorrisi con la cortesia formale di una principessa in visita ad un paese straniero. La sua classe innata le consentiva di tollerare con grazia la costrizione di una passeggiata con dei minuscoli esseri insignificanti, quando era chiaro che lei avrebbe voluto essere altrove. La verità ti aveva raggiunto come una freccia dritta nel cuore: si lascia toccare, dicevano Sarah e Robert, ha un ragazzo, un francese del suo gruppo, lei la sera esce di nascosto, l’abbiamo vista baciarsi, e lui la toccava.
Era dunque questo che si nascondeva sotto l’impazienza trattenuta della tua principessa? Era dunque a causa di quel francese alto e magro come un rastrello, era per via di quello spaventapasseri dalla zazzera spiovente sugli occhi scuri, era per quei suoi modi affettati da signore che tu venivi ricacciato in un angolo come un burattino senza vita, dimenticato per la sua totale inutilità?
Il conforto dei gemelli di Mrs Butterfield si era rivelato fondamentale per la tua sopravvivenza. Robert e Sarah, che condividevano con te l’ambigua condizione di ultimi arrivati in famiglia, erano diventati dei compagni di vita insostituibili: la vostra era fondamentalmente una società di mutuo soccorso contro fratelli e sorelle maggiori, contro le loro angherie e i loro dischi dei Beatles.
Sarebbe stato tutto più sopportabile se aveste potuto frequentare la stessa scuola, le stesse lezioni di religione, sperimentare insieme l’angoscia della Prima Comunione e delle cose da dire e da non dire dentro il confessionale. Invece c’era qualcosa di indefinibile a dividervi, qualcosa che non venivamai nominato e tantomeno messo in discussione. Qualcosa che aveva permesso a Mrs Butterfield di avere cinque figli da tre mariti, l’ultimo dei quali scandalosamente più giovane di lei. Avevi la sensazione che fosse lo stesso indefinibile qualcosa a fare di Mrs Butterfield una donna spiritosa e piena di vita che metteva in lavatrice gli stivali di gomma assieme alle mutande e stendeva ad asciugare le camicie con le maniche arrotolate. Era forse per via di quei lunghi capelli neri scarmigliati, la carnagione da zingara e le maglie scollate, forse per via di quel marito dai riccioli biondi che concedeva qualsiasi cosa ai bambini, era forse per l’insieme di tutte queste disastrose ragioni che mamma si sentiva in dovere di dare una mano a quella povera Heather, preparandole tonnellate di torta al rabarbaro o prelevando enormi ceste di panni da stirare. Saranno anche stati una famiglia di atei scombinati, come era solito definirli tuo padre, ma era evidente che mamma non avrebbe rinunciato per niente al mondo alla loro imprevedibile compagnia. Quanto a te, avresti dato qualsiasi cosa per farti adottare da Mrs Butterfield: avresti pagato volentieri il pegno di andare a scuola con qualche patacca di marmellata sulla maglia pur di iniziare la giornata con una lotta di cuscini insieme a Robert e Sarah.
(da "L'inutile guida" ed. Progetto Cultura, 2009 - settima puntata)
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