giovedì 19 febbraio 2009

Lars Vogt al Salone Estense di Varese

Mi aspettavo di più. E’ vero che la mia frequentazione delle incisioni di Lars Vogt era limitata ai concerti romantici (Schumann, Grieg, Beethoven) eseguiti sotto la direzione di Simon Rattle ancora ai tempi di Birmingham e che avevo solo una vaga reminiscenza del lavoro su Hindemith con Abbado e i Berliner; tuttavia, nonostante i riferimenti limitati e la memoria un po' appannata circa lo stile di Vogt, ieri sera sono andata al concerto sicura di godere di una interpretazione memorabile. Decisamente, memorabile non è l’aggettivo giusto. Forse deludente suona un po’ spietato per un pianista che ha comunque osato mettere in fila Berg, Schubert e Liszt. Diciamo che la sua interpretazione non ha incontrato i miei gusti. Passi la Sonata Op.1 di Berg: niente a che vedere con la lettura introspettiva di Gould o quella scientifica di Pollini; ma l’inflessione tardo romantica conferita all’opera da Vogt era perfettamente legittima.
Le mie perplessità sono cominciate con il primo dei Drei Klavierstücke D946 dove mi aspettavo un’esecuzione cristallina e dove ho notato subito, invece, un uso improprio, eccessivo, del rubato. Il peggio, inevitabilmente, si è scatenato con la Sonata in Si minore di Liszt. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il grande repertorio pianistico ottocentesco sa che si tratta di una composizione che sfugge a qualsiasi definizione: un’opera di estrema complessità intellettuale, oltre che tecnica, caratterizzata da un’architettura precisa e spiazzante al tempo stesso. La capacità di governare sapientemente tutto quel materiale in ebollizione è esattamente ciò che fa la differenza fra un pianista (che deve essere necessariamente bravo) e il vero interprete dell’opera. Dico subito che il mio riferimento – invariato dal 1992 – per la Sonata di Liszt è Krysztian Zimerman: a mio avviso nessuno raggiunge la sua pulizia e il suo rigore, nessuno come lui sa dominare l’impeto romantico senza suonare troppo freddamente cerebrale. Con Liszt il rischio di debordare nel gigantismo, nel fortissimo-a-impatto-sicuro-sul-pubblico, è sempre a portata di dita. Vogt è certo un ottimo pianista, un musicista generoso e appassionato, tuttavia l’impressione generale è che il repertorio romantico non gli sia del tutto congeniale: ascoltandolo, si ha quasi la sensazione che si lasci sopraffare dalle emozioni, senza riuscire perciò a metterle al servizio della musica. Non a caso eseguendo l’encore –Mozart: il secondo movimento della Sonata in Do– Vogt si è rivelato impeccabile, pulito e misurato.
Fuori dai confini del periodo classico o dei rigori modernisti, le esecuzioni di Vogt restano semplicemente in superficie. Il corto circuito espressivo fra dita e cuore scatta quando la musica non nasce dalla testa.

1 commento:

Anonimo ha detto...

" Só previlegiados têm ouvido igual ao seu/Eu possuo apenas o que Deus me deu "