venerdì 2 ottobre 2009

Capitolo 1 "Holles Street" - quarta puntata

Davanti al portoncino laccato di rosso stai rovistando in cerca della chiave giusta e intanto ti ripassi nella testa l’ultimissima discussione con Deirdre, quella a proposito dei capelli di Chloe; speri solo di non dover riprendere il battibecco al punto in cui l’avete lasciato, non stasera, almeno. Meglio rimandare a domani, magari, quando avrai accontentato Chloe portandola a tagliarsi i capelli corti come desidera e Deirdre non potrà che arrendersi di fronte al fatto compiuto.
La casa è immersa nel silenzio. Deirdre, fasciata in un accappatoio candido, sta lavorando al computer seduta a gambe incrociate sul divano. Sembra l’immagine impeccabile di una qualche pubblicità, pensi mentre vi salutate silenziosamente con un rapidissimo contatto delle labbra. Per un poco, prima di rimettersi al lavoro, lei accarezza i tuoi gesti con uno sguardo radioso e tu le scivoli accanto stringendole la vita sottile fra le braccia, grato del morbido ticchettio della tastiera e del battito sicuro del suo cuore attraverso quelle ossa fragili.
Quando lei ti raggiunge in camera da letto sai con certezza, sai per l’ennesima volta che non aspettavi altro che questo, perché è ancora questo, solo questo che ti incatena alla radice di ogni giorno.
L’accappatoio bianco lampeggia a terra. Bastano poche carezze per saldarti a lei. “Bentornato tesoro” sussurra la breve pioggia dei suoi capelli sul tuo viso. Funziona sempre, è un meccanismo collaudato. Ogni volta scatta la medesima avidità, l’attrazione esercita ogni giorno lo stesso potere. Ecco: non è cambiato niente. Qui non cambia niente. Da sette anni è questa la tua sola certezza. Tutto trova riparo, giustificazione e conforto nel buio di questa pelle ruvida, dolciastra, che si incolla tenacemente alla tua con la regolarità di sempre.


Il rito dell’incursione in cucina dopo il sesso notturno l’aveva istituito Deirdre nel momento in cui avevi dato il via ai tuoi giorni di sobrietà. Per soppiantare la tua abitudine a stordirti di alcol dopo ogni rapporto, Deirdre aveva escogitato il tè della notte e, con l’ostinata pazienza con cui si insegna ai bambini a non fare pipì a letto, ti aveva allenato a gestire il distacco dei vostri corpi senza angoscia.
Normale. Ecco quello che dovrebbe essere l’aggettivo guida nella tua vita. Fare sesso è una cosa normale, rifletti spalmando un crostino con un’abbondante dose di marmellata di mirtillo. Deirdre, seduta sul tavolo, stira una gamba fino a sfiorare il lavello con l’alluce. Poi un lembo dell’accappatoio cede scoprendo la
coscia magra da ragazzina e la tua mano viene automaticamente calamitata per una carezza.
“Steve, tu ti senti in colpa anche quando le bambine prendono il raffreddore” dice Deirdre dondolando lenta una gamba e spiandoti teneramente.
“Sì, ma lei ha scritto quella lettera, quel diario, dedicandolo a me, non capisci?” protesti energicamente a bassa voce, disperando già di poter essere compreso.
“E tu l’hai letto?”
“Ma no, sono un sacco di pagine, un libro, quasi…” e sospiri massaggiandoti le tempie fra pollice e medio, visualizzando l’involto accartocciato nella tasca interna della tua giacca.
“Steve, tu non c’entri niente” conclude Deirdre scivolando giù dal tavolo e versandoti nella tazza quel che resta del tuo caffè di cereali.


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Londra, luglio 1986

Emergiamo dalla Circle Line direttamente su Kensington Gardens. Come sempre, l’animazione del sabato pomeriggio mi mette a disagio e mi fa desiderare di essere altrove. Mentre attraversiamo Bayswater Road non possiamo fare a meno di pensare che tutto il Medio Oriente si sia concentrato da queste parti.
Chris non riesce a tacere.
“Se sei già ubriaco adesso come pensi di arrivare a domani mattina?” esplodo a un tratto, irritato dalla prospettiva di trascinarmi in giro un rottame per tutta la notte.
Non ottengo nessuna risposta. Cazzo, è già completamente andato. Forse è il caso di parcheggiarlo e di uscire solo con Mike. Adesso ne parlo con lui e poi vediamo. Perché non rispondi a questo cazzo di citofono, Mike?
“Starà dormendo” conclude Chris rannicchiandosi a terra contro il massiccio portone di vetro dell’ingresso.
Non c’è altro da fare che aspettare: il telefono di Mike è totalmente fuori uso. Sembra che il proprietario dell’appartamento sia scappato in Australia lasciando una quantità di conti da pagare. La linea è scollegata da almeno due settimane e non oso pensare a
cosa potrebbe accadere in futuro. Ho paura che Mike dovrà cercarsi presto un nuovo appartamento, e non è esattamente il genere di
diversivo di cui ha bisogno ora: la sua vita da single ha preso il via in modo precipitoso, all’insegna dell’improvvisazione e di una serie di compromessi dal mio punto di vista inaccettabili.
Da qualche tempo ho una visione insolitamente lucida e autonoma della realtà. Di fatto, è da quando abbiamo registrato le sessions per lo show di John Peel che ho sviluppato una determinazione inattaccabile nei confronti del lavoro; è ciò che mi ha permesso di affrontare il tour negli States con la giusta concentrazione e i risultati non si sono fatti attendere. Suppongo sia l’effetto prodigioso di ciò che chiamano fiducia in se stessi, concetto fino ad ora piuttosto vago e inafferrabile, per quanto mi riguarda; un effetto che sto lasciando dilagare piacevolmente in tutti gli aspetti della mia vita. Una meravigliosa sensazione di sicurezza, infinitamente più stabile e duratura di quella che normalmente mi procura una buona bevuta.
La rottura fra Carol e Mike è l’unico elemento che sfugge al mio controllo: Mike sta cominciando a diventare un problema. Lui e Carol erano ancora alle elementari e già giravano mano nella mano: c’era da aspettarselo che prima o poi lei avrebbe messo gli occhi su qualcosa di diverso. Non capisco come si possa sposare a vent’anni la sola persona con cui sei stato. Non riesco ad avere neanche la più vaga idea di me e Sarah sposati.
“Non era lei che ti sei portato a casa l’altra notte?” osserva Chris in uno scatto di imprevedibile lucidità.
“E tu quando ti decidi ad andare a stare per conto tuo? Sono passati sei mesi da quando mi hai chiesto se potevi stare da me per un paio di settimane.”
Chris si guarda in giro e poi sospira. “Steve, se te la fai è perché ti piace: è matematico, preciso…”
Lascia perdere. Che senso ha discutere di certe cose con un ubriaco?
“Non sono ubriaco!” protesta grintoso. “E comunque io ti ho visto sempre e solo con Sarah, e non dirmi che non hai alternative…”
Ancora non riesco a capire cosa ci sia di così desiderabile nell’andare a letto ogni sera con una donna diversa: francamente mi è sempre sembrata una prospettiva angosciante. Non che il successo non mi piaccia, sia chiaro, ma non ho mai visto una connessione necessaria fra il successo e la promiscuità sessuale.
“Steve, a te piace andare controcorrente. È il tuo modo di metterti in mostra. Tu hai sempre questo bisogno di distinguerti ad ogni costo.”
Può darsi. Ma continuo a non capire perché si consideri una condizione invidiabile la possibilità di scopare con delle perfette sconosciute. Mi piace la gente che viene ai nostri concerti, ma il mio sogno è che dopo lo spettacolo tutti scompaiano all’istante: io non ho alcuna esigenza di entrare in contatto con chi compra i miei dischi. Io scrivo per me stesso, non per gli altri. Tutte quelle attenzioni finiscono per deconcentrare un artista, allontanarlo dal suo percorso. L’idea che delle ragazze mi aspettino fuori da un teatro mi fa solo venire voglia di scappare: non ci vedo la possibilità di avere del sesso senza fatica; ci vedo piuttosto delle baccanti furiose pronte a ridurmi in frammenti irriconoscibili.
“Steve, tu leggi troppo. E pensi troppo” sentenzia Chris scuotendo la testa. “Cosa c’era che non andava nella biondina di ieri sera?”
“Quale biondina?” Giuro che non riesco proprio a ricordare.
“Ma se ti è stata addosso tutta la sera…”
Mi ricordo solo della tipa che mi ha venduto dell’acido di merda, ma era tutto tranne che una biondina e aveva ben altro per la testa che stare lì a cercare di sedurmi.
“Cristo Steve, tu vivi proprio su un altro pianeta!”
Meglio il mio pianeta e i miei giochi con Sarah, almeno fino a quando l’amore non si deciderà a passare dalle mie parti. Tra me e Sarah non è cambiato poi molto rispetto a quando, da bambini, ci nascondevamo nella sua stanza a rotolarci fra le lenzuola sintetiche arancione.
“Fa ancora la cartomante?” si informa Chris dimostrando davvero di essere più lucido di quanto pensassi.
“Chiromante” mi sento in dovere di precisare, ripensando al musetto di gatto lentigginoso che sorride sotto i lunghi capelli disordinati. Rivedo a un tratto me e Sarah due giorni fa - lei accucciata nel suo angolino in subaffitto in un negozio di abiti usati in Chalk Farm Road, io che scendo a portarle qualcosa da mangiare, attraverso la strada assolata con una ciotola di zuppa d’avena in mano, mi immergo cieco nell’oscurità che sa di caverna e stracci fino ad accoccolarmi su un cuscino accanto a lei che mi sorride e prende delicatamente la ciotola dalle mie mani - e capisco all’improvviso, sorpreso di non esserci mai arrivato prima, capisco a un tratto come il mio rapporto con Sarah sia sempre consistito nella ricerca di un rifugio. Un riparo, un guscio protettivo: è questo che io e Sarah abbiamo sempre condiviso. Una scatola buia, nascosta
agli occhi del mondo, stipata dei nostri segreti. Ero stato io il primo a sapere, a vedere la ferita di sangue nero sulle sue mutandine: a me, prima che a chiunque altro, aveva confidato il misterioso cambiamento sgorgato dal suo corpo. Ogni segreto è sempre stato accuratamente filtrato attraverso il nostro patto di intimità prima di poter essere divulgato come notizia ufficiale.
“La chiromante è quella che legge le mani, giusto?” interviene Chris seguendo il filo delle sue indagini. “E così tu hai il privilegio di farti leggere gratis anche tutto il resto…”
L’esplorazione dei corpi ha costituito il segreto per eccellenza fra me e Sarah, ciò che ha saldato la nostra intesa. Stranamente, benché questo segreto non abbia più alcun motivo di rimanere tale, siamo entrambi totalmente reticenti ad ammettere l’evidenza. Una sorta di pudore retrospettivo nei confronti delle nostre famiglie, forse; la lunga ombra dell’infanzia che si stende ancora sulle nostre vite. Fra me e Sarah non potrebbe mai esserci niente più di questo, niente più di un residuo d’infanzia, un gioco destinato a morire di morte naturale. Mai una volta, neanche per scherzo, ci è capitato di pensare ad un futuro insieme. Davvero non capisco come si possa giurare amore eterno a qualcuno che conosci da sempre.

(da "L'inutile guida" ed. Progetto Cultura, 2009 - quarta puntata)

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