mercoledì 31 dicembre 2008
Giorno di confine
Ci sono giorni come questo, giorni di confine, in cui i pensieri vanno alla deriva, inutile arginarli, perché rotolano come le biglie sul pavimento del corridoio, ceramica verde bosco e marrone, rimbalzano contro la porta d’ ingresso, biglie e macchinine tormentano la porta d’ ingresso, l’inutile tormento dei ricordi, confini che non servono a nulla, confini da cancellare, una lunga cicatrice di pietre che attraversa la città, il 2009 celebrerà due decenni dalla caduta del Muro e tutti quei piccoli, arroganti padroni del mondo che affollano le strade di oggi ignoreranno sempre il significato di quella cicatrice, non avranno mai voglia di ascoltare, non sapranno mai la voce di Bach trasmessa da Rostropovich tra le rovine, non sapranno mai né Bach né Rostropovich e la cicatrice, col tempo, sbiadirà inghiottita dall’asfalto, una cicatrice fra le tante, indistinguibile, la sempre inutile lezione della Storia.
martedì 30 dicembre 2008
Non capisco
Non capisco. Lo ammetto candidamente, come ammetto di non essere un’esperta di politica internazionale. Non sono esperta di niente, a dire il vero. L’unica cosa che so con certezza, però, è che nessun genere di violenza è giusto e accettabile; nessun genere di violenza ha mai sistemato le cose. Perciò, ripeto, non capisco la ridda di commenti che si sono scatenati sul web a proposito della fase più recente del conflitto israelo-palestinese. Leggo volentieri gli articoli di chi ne sa più di me, mi piace capire, pur sapendo che entrambe le parti hanno torto e ragione e che ci sarà sempre un motivo per prolungare in eterno il conflitto a meno che non si scelga deliberatamente di porvi fine. Detto questo, davvero io non capisco -e trovo di cattivo gusto - il clima da tifoseria che anima certi commenti. Che senso ha sostenere l’una o l’altra delle parti in guerra? Non sono forse entrambe le fazioni vittime e carnefici nello stesso tempo e nello stesso modo? Personalmente provo solo una profonda pena: provo pena per la gente costretta a sopravvivere fra gli stenti, tra fogne a cielo aperto, provo pena per chi aggredisce e per chi odia. Sì, io provo pena per gli aggressori, a qualunque gruppo appartengano, perché preparano sempre il terreno a nuove violenze, perché ogni conflitto è un passo indietro dell’umanità.
Non capisco: non capisco che senso abbia parteggiare per una fazione e non, invece, per la cessazione totale, immediata, di qualsiasi guerra, di qualsiasi sofferenza. Non capisco perché schierarsi così apertamente per il conflitto israelo-palestinese e non, ad esempio, contro la guerriglia, la miseria e le malattie che devastano l’Africa, non capisco perché non prendere posizione di fronte all’ ennesimo massacro a colpi di machete avvenuto in una chiesa cattolica nella Repubblica del Congo il giorno di Santo Stefano. Non so: gli esseri umani di serie Z, gli schiavi che grattano il ventre nero del Congo per regalarci il coltan e dunque le mirabili tecnologie di cui non sapremmo più fare a meno, le vittime inconsapevoli degli imperialismi sofisticati e (quasi) invisibili dei nostri giorni, tutte queste anime senza nome non valgono nemmeno una manciata di secondi di indignazione?
Non capisco: non capisco che senso abbia parteggiare per una fazione e non, invece, per la cessazione totale, immediata, di qualsiasi guerra, di qualsiasi sofferenza. Non capisco perché schierarsi così apertamente per il conflitto israelo-palestinese e non, ad esempio, contro la guerriglia, la miseria e le malattie che devastano l’Africa, non capisco perché non prendere posizione di fronte all’ ennesimo massacro a colpi di machete avvenuto in una chiesa cattolica nella Repubblica del Congo il giorno di Santo Stefano. Non so: gli esseri umani di serie Z, gli schiavi che grattano il ventre nero del Congo per regalarci il coltan e dunque le mirabili tecnologie di cui non sapremmo più fare a meno, le vittime inconsapevoli degli imperialismi sofisticati e (quasi) invisibili dei nostri giorni, tutte queste anime senza nome non valgono nemmeno una manciata di secondi di indignazione?
lunedì 29 dicembre 2008
Il castello segreto
"Sul confine di una sofferenza
Ai margini di un muto dolore
S'installa il castello segreto
Dove la cenere del cuore si espande"
(Antonin Artaud, "Logica segreta")
Ai margini di un muto dolore
S'installa il castello segreto
Dove la cenere del cuore si espande"
(Antonin Artaud, "Logica segreta")
domenica 28 dicembre 2008
Avrei diverse cose da dire...
...ma non ne ho voglia. Qualcosa deve essere successo se ogni parola ha perso significato, se interpreto ogni cosa a rovescio. Oggi la tabella di marcia prevedeva la salita purificatrice ad uno dei miei rifugi preferiti. Una volta raggiunta la sommità, il cielo era di un azzurro esplosivo. Il tempo di entrare nel santuario ad ammirarne la grazia barocca e già l'aria si era fatta livida e opaca. Questo mutamento repentino verso il brutto tempo mi ha consolata.
mercoledì 24 dicembre 2008
Adoro Danny Kaye
“Mio padre aveva questa fissazione per Bing Crosby…” mi lancio con decisione, determinato a tirar fuori il rospo.
“Io lo detesto” mi interrompe Alex, sprezzante.
“Sì, anche a me non piace, lo trovo così melenso…”
“Esattamente”
“Bè, insomma, lui aveva questo mito in testa, Bing Crosby e White Christmas, sai, nella mia ingenuità io pensavo di tornare a casa da trionfatore, tanto più che in un negozio di dischi usati a Chicago avevo trovato una copia da collezionista di White Christmas, un Decca originale del ’51, una autentica rarità, non la colonna sonora del film…“
“No, naturalmente, il film è del ’54” Alex mi interrompe ancora, spezzando in due una galletta di riso e porgendomene metà “Un film deludente…Un vero peccato che Danny Kaye ci sia finito dentro, lui è l’unica cosa buona di quel film, la parte in realtà doveva andare a Fred Astaire, lo sapevi?”
Alex non finirà mai di stupirmi. “Come le sai tutte queste cose?”
“Adoro Danny Kaye, ho tutti i suoi film. Perché mi guardi così? Adoro i film musicali degli anni ’50” si appoggia al davanzale, si stringe nelle spalle e sorride nel buio “Sono i miei amici d’infanzia: Gene Kelly, Danny Kaye…abbiamo passato un sacco di ore felici insieme” sottolinea regalandomi un buffo sorriso pieno di sottintesi.
“Ma tornando alla copia di White Christmas per tuo padre, cosa volevi dimostrargli? che nonostante tutto eri un figlio devoto e ubbidiente?” mi chiede cinicamente la voce della verità.
“Non so…” rifletto annaspando in una nebbia vischiosa “Sentivo di doverlo fare. Probabilmente quel disco voleva essere la prova tangibile del fatto che esistevo e meritavo la sua attenzione”
“Mmm, ho capito…Hai fatto come il gatto che deposita il topo morto sull’uscio del padrone”
“Più o meno” rispondo meccanicamente, folgorato dalla geniale franchezza di Alex.
“Immagino com’è andata a finire…”
Una galletta si sbriciola nel vuoto.
“Non l’ha mai ascoltato” concludo brevemente fissando con la massima concentrazione un punto qualsiasi dell’edificio di fronte.
(tratto da "L'inutile guida", di prossima pubblicazione)
“Io lo detesto” mi interrompe Alex, sprezzante.
“Sì, anche a me non piace, lo trovo così melenso…”
“Esattamente”
“Bè, insomma, lui aveva questo mito in testa, Bing Crosby e White Christmas, sai, nella mia ingenuità io pensavo di tornare a casa da trionfatore, tanto più che in un negozio di dischi usati a Chicago avevo trovato una copia da collezionista di White Christmas, un Decca originale del ’51, una autentica rarità, non la colonna sonora del film…“
“No, naturalmente, il film è del ’54” Alex mi interrompe ancora, spezzando in due una galletta di riso e porgendomene metà “Un film deludente…Un vero peccato che Danny Kaye ci sia finito dentro, lui è l’unica cosa buona di quel film, la parte in realtà doveva andare a Fred Astaire, lo sapevi?”
Alex non finirà mai di stupirmi. “Come le sai tutte queste cose?”
“Adoro Danny Kaye, ho tutti i suoi film. Perché mi guardi così? Adoro i film musicali degli anni ’50” si appoggia al davanzale, si stringe nelle spalle e sorride nel buio “Sono i miei amici d’infanzia: Gene Kelly, Danny Kaye…abbiamo passato un sacco di ore felici insieme” sottolinea regalandomi un buffo sorriso pieno di sottintesi.
“Ma tornando alla copia di White Christmas per tuo padre, cosa volevi dimostrargli? che nonostante tutto eri un figlio devoto e ubbidiente?” mi chiede cinicamente la voce della verità.
“Non so…” rifletto annaspando in una nebbia vischiosa “Sentivo di doverlo fare. Probabilmente quel disco voleva essere la prova tangibile del fatto che esistevo e meritavo la sua attenzione”
“Mmm, ho capito…Hai fatto come il gatto che deposita il topo morto sull’uscio del padrone”
“Più o meno” rispondo meccanicamente, folgorato dalla geniale franchezza di Alex.
“Immagino com’è andata a finire…”
Una galletta si sbriciola nel vuoto.
“Non l’ha mai ascoltato” concludo brevemente fissando con la massima concentrazione un punto qualsiasi dell’edificio di fronte.
(tratto da "L'inutile guida", di prossima pubblicazione)
martedì 23 dicembre 2008
Equazioni
700 euro mensili di asilo nido stanno ad uno stipendio di 1000 euro come la miseria sta alla miseria.
venerdì 19 dicembre 2008
"A chi la tocca, la tocca"
Sto discutendo con Elena, la portinaia albanese, del metodo più efficace per eliminare le muffe dai muri di casa (“Melio de tuto è la candegina” consiglia Elena in quel suo tono dolce e cantilenante) quando vengo raggiunta da Sandra che vorrebbe parlarmi in privato. Sandra ha bisogno di un anticipo sulla liquidazione e vorrebbe che io scrivessi per lei la richiesta ufficiale da inoltrare all’ufficio del personale. Messaggio ricevuto ma, per sicurezza, meglio tastare il terreno. Prima che il responsabile del personale si renda reperibile telefonicamente ho il tempo di buttar giù due modelli: uno moderato e formale, l’altro più strappalacrime.
“Le basterebbe una cifra modesta” comincio a spiegare al telefono scoprendomi improvvisamente nei panni del difensore.
“Ma per quale ragione?” chiede la voce già maldisposta
“Ha una serie di cose da pagare: la retta dell’asilo, l’affitto arretrato…”
La mia spiegazione ottiene solo un mugugno di disapprovazione. Non basta, mi dico, non basta. Non basta essersi lasciati alle spalle un passato difficile, una famiglia disastrata, non basta aver deciso di portare coraggiosamente a termine una gravidanza inattesa, non basta avere un uomo che se ne frega completamente di suo figlio, non basta avere un lavoro retribuito col minimo sindacale. Tutto questo non basta, non rientra nella casistica prevista dalla legge.
“D’accordo” provo a rilanciare “però lavora qui da otto anni e questo è uno dei requisiti necessari”
“Sì ma abbiamo appena fatto richiesta di cassa integrazione, ci stiamo muovendo in un’ottica di risparmio, in questo momento non ha senso, voglio dire…è chiaro: fin qui abbiamo fatto quello che potevamo, qualcuno è stato accontentato, ma adesso…mi spiace, le cose cambiano, purtroppo”
Certo, fa parte della non-logica della vita: a chi la tocca la tocca, insomma, e Sandra ha la disgrazia di essere povera nel momento sbagliato. Non finisce qui, mi riprometto chiudendo la conversazione. Penso a cosa ne sarebbe di Sandra e del suo bambino se veramente dovesse essere attuato il previsto piano di cassa integrazione a zero ore: mi chiedo come potrebbero cavarsela con il salario di Sandra decurtato del 40%. E penso alla disgustosa propaganda di regime che invita all’ottimismo, che invita a spendere, a spendere per rilanciare l’economia. E chi glielo dice a Sandra, lunedì mattina? Chi glieli fa gli auguri di buon natale?
“Le basterebbe una cifra modesta” comincio a spiegare al telefono scoprendomi improvvisamente nei panni del difensore.
“Ma per quale ragione?” chiede la voce già maldisposta
“Ha una serie di cose da pagare: la retta dell’asilo, l’affitto arretrato…”
La mia spiegazione ottiene solo un mugugno di disapprovazione. Non basta, mi dico, non basta. Non basta essersi lasciati alle spalle un passato difficile, una famiglia disastrata, non basta aver deciso di portare coraggiosamente a termine una gravidanza inattesa, non basta avere un uomo che se ne frega completamente di suo figlio, non basta avere un lavoro retribuito col minimo sindacale. Tutto questo non basta, non rientra nella casistica prevista dalla legge.
“D’accordo” provo a rilanciare “però lavora qui da otto anni e questo è uno dei requisiti necessari”
“Sì ma abbiamo appena fatto richiesta di cassa integrazione, ci stiamo muovendo in un’ottica di risparmio, in questo momento non ha senso, voglio dire…è chiaro: fin qui abbiamo fatto quello che potevamo, qualcuno è stato accontentato, ma adesso…mi spiace, le cose cambiano, purtroppo”
Certo, fa parte della non-logica della vita: a chi la tocca la tocca, insomma, e Sandra ha la disgrazia di essere povera nel momento sbagliato. Non finisce qui, mi riprometto chiudendo la conversazione. Penso a cosa ne sarebbe di Sandra e del suo bambino se veramente dovesse essere attuato il previsto piano di cassa integrazione a zero ore: mi chiedo come potrebbero cavarsela con il salario di Sandra decurtato del 40%. E penso alla disgustosa propaganda di regime che invita all’ottimismo, che invita a spendere, a spendere per rilanciare l’economia. E chi glielo dice a Sandra, lunedì mattina? Chi glieli fa gli auguri di buon natale?
giovedì 18 dicembre 2008
Perchè non ho acceso il pc per 48 ore?
Per noia. Per rabbia. Per disgusto. Per evitare i silenzi fastidiosi (a cominciare da quello, ormai quasi offensivo, del mio editore) e liberarmi delle tante parole a vuoto.
Su tutto è calato inesorabile, autorevole come una nevicata, il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi.
Su tutto è calato inesorabile, autorevole come una nevicata, il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi.
lunedì 15 dicembre 2008
Della classe dirigente italiana: un esempio illuminante.
Trascrivo qui di seguito un bel pezzo da antologia, ovvero il più recente parto letterario del mio direttore:
"Oggetto: prezzi troppo alti dei pezzi di ricambio
In questi momenti di profonda crisi di tutti i settori e delle grosse difficoltà di rimanere sul mercato con adeguamento dei prezzi e riduzione dei costi ci sembra eccessivo oltre ogni calcolo di costi del prodotto venderci una barretta di plastica a 93,20 euro cadauno."
Giusto per offrire un quadro più completo dell'autore di questo testo magistrale, trascriverò anche un significativo estratto della sua odierna esternazione a proposito della crisi economica: "Questa crisi è giusta perchè dimostra che il povero deve rimanere povero. Perchè un operaio dovrebbe potersi permettere la casa, il cellulare e le vacanze? Un operaio è un operaio. Voi impiegati avete voluto la redistribuzione dei redditi? Ecco: questo è il risultato"
Posso garantire che non mi sono inventata niente. E' tutto vero.
giovedì 11 dicembre 2008
martedì 9 dicembre 2008
Facebook? No, grazie.
Scopro che il forum di discussione che frequento da mesi (un pugno di persone aggregate dall’amore per la stessa band) langue a causa delle continue defezioni dei partecipanti, attratti dall’ultima novità nell’ambito dei social network. Contatti virtuali concretizzatisi col tempo in incontri e amicizie effettive, sono stati polverizzati dal nuovo trastullo Facebook.
Avverto qualcosa di terribilmente infantile in tutto ciò. Mi viene da pensare alle amicizie (autentici innamoramenti) fra compagne ai tempi della scuola elementare, quando un sodalizio perfetto che si autoproclamava indissolubile, poteva venire rapidamente compromesso dalla proprietaria di un diario più luccicante o di una gomma più profumata.
Un altro segno dei tempi, è chiaro. Un altro modo di cuocere le coscienze nella broda tiepida di un beato infantilismo.
“Perché non ci vieni anche tu su Facebook?” mi invita un amico.
Non ho mai seguito – in anni in cui sarebbe stato lecito farlo – i flussi migratori delle “compagnie” che si trasferivano da un ritrovo all’altro: figuriamoci se ora mi metto a rincorrere la gente via web.
Il mio tempo libero è preziosissimo e io non ho ancora perso l’abitudine di leggere, ascoltare musica e incontrare gli amici. Incontrarli per davvero, intendo.
Avverto qualcosa di terribilmente infantile in tutto ciò. Mi viene da pensare alle amicizie (autentici innamoramenti) fra compagne ai tempi della scuola elementare, quando un sodalizio perfetto che si autoproclamava indissolubile, poteva venire rapidamente compromesso dalla proprietaria di un diario più luccicante o di una gomma più profumata.
Un altro segno dei tempi, è chiaro. Un altro modo di cuocere le coscienze nella broda tiepida di un beato infantilismo.
“Perché non ci vieni anche tu su Facebook?” mi invita un amico.
Non ho mai seguito – in anni in cui sarebbe stato lecito farlo – i flussi migratori delle “compagnie” che si trasferivano da un ritrovo all’altro: figuriamoci se ora mi metto a rincorrere la gente via web.
Il mio tempo libero è preziosissimo e io non ho ancora perso l’abitudine di leggere, ascoltare musica e incontrare gli amici. Incontrarli per davvero, intendo.
giovedì 4 dicembre 2008
"Che cosa può cantare il poeta / in tempi di gelo e carestia?" (Canzoniere del Lazio, 1977)
Ieri, mentre il quarto canale radiofonico della BBC trasmetteva “The art of conversation”, una curiosa pièce scritta da Dylan Thomas nei primi anni quaranta, riflettevo sul fatto che proprio in quel periodo, in piena guerra mondiale, Thomas trascurò completamente la poesia, arrivando quasi al punto di rifiutarla. All’epoca Thomas viveva prevalentemente a Londra e si manteneva sfruttando le possibilità che gli offriva l’industria della propaganda bellica: la sua attività principale consisteva nello scrivere sceneggiature di documentari e trasmissioni radiofoniche per tenere alto il morale della nazione.
Ora, se da un lato mi conforta avere l’ennesima conferma che anche per i più grandi l’ispirazione non è sempre dietro l’angolo, una volta di più mi chiedo cosa sia a spegnere la voce del poeta, a disseccargli il sangue nelle vene.
Per quanto riguarda Dylan Thomas mi riesce difficile pensare che sia stato l’impegno “propagandistico” (che ovviamente disprezzava) ad assopirgli l’impulso febbrile alla scrittura e dubito seriamente che, lontano dal Galles, gli fosse impossibile ricostruire la propria facoltà creatrice. Non credo che lontano dalle suggestioni estreme della sua terra Thomas non sapesse come alimentare la propria immaginazione.
Non c’è dubbio che un artista debba nutrirsi di solitudine per coltivare la propria ispirazione, ma è altrettanto vero che si può essere soli ovunque e che non c’è nulla di più esaltante, dal punto di vista creativo, di una solitudine parallela alla vita attiva, cioè quel felice isolamento interiore che permette di passare attraverso la realtà senza farci troppo caso.
Il punto è che scrivere implica sempre una speranza. Esprimere la propria disperazione è un atto di speranza. Si presuppone, spesso inconsciamente, che ci sia qualcuno, da qualche parte, in qualche modo, disposto a raccogliere il messaggio. La mia sensazione è che la guerra costrinse Thomas a confrontarsi coi vertici dell’ipocrisia umana. Difficile riagguantare la speranza dopo un'esperienza del genere.
E’ l’assenza di prospettive a zittire il poeta. L’impossibilità di elaborare un’alternativa ad una realtà che ti si chiude addosso come una gabbia. L’assenza di risposte. Sopravvivenza senza sogni.
Ora, se da un lato mi conforta avere l’ennesima conferma che anche per i più grandi l’ispirazione non è sempre dietro l’angolo, una volta di più mi chiedo cosa sia a spegnere la voce del poeta, a disseccargli il sangue nelle vene.
Per quanto riguarda Dylan Thomas mi riesce difficile pensare che sia stato l’impegno “propagandistico” (che ovviamente disprezzava) ad assopirgli l’impulso febbrile alla scrittura e dubito seriamente che, lontano dal Galles, gli fosse impossibile ricostruire la propria facoltà creatrice. Non credo che lontano dalle suggestioni estreme della sua terra Thomas non sapesse come alimentare la propria immaginazione.
Non c’è dubbio che un artista debba nutrirsi di solitudine per coltivare la propria ispirazione, ma è altrettanto vero che si può essere soli ovunque e che non c’è nulla di più esaltante, dal punto di vista creativo, di una solitudine parallela alla vita attiva, cioè quel felice isolamento interiore che permette di passare attraverso la realtà senza farci troppo caso.
Il punto è che scrivere implica sempre una speranza. Esprimere la propria disperazione è un atto di speranza. Si presuppone, spesso inconsciamente, che ci sia qualcuno, da qualche parte, in qualche modo, disposto a raccogliere il messaggio. La mia sensazione è che la guerra costrinse Thomas a confrontarsi coi vertici dell’ipocrisia umana. Difficile riagguantare la speranza dopo un'esperienza del genere.
E’ l’assenza di prospettive a zittire il poeta. L’impossibilità di elaborare un’alternativa ad una realtà che ti si chiude addosso come una gabbia. L’assenza di risposte. Sopravvivenza senza sogni.
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Da qui messere si domina la valle,
L'inutile guida
lunedì 1 dicembre 2008
Children's corner
Non c’è proprio verso di evocare Debussy osservando la folle guerra di coriandoli bianchi che si sta scatenando di là dal vetro. Ne è passato di tempo da quando una nevicata evocava automaticamente “The snow is dancing”. Della neve ora vedo solo il putridume che si affossa nel prato, gli steli neri che ne violano la superficie compatta. Niente a che vedere con giochi impalpabili di timbri ed armonie di cristallo. A questa neve, a questa vita si addice ben altra colonna sonora. A Debussy lascio in custodia il sogno.
Il male minore
Lo so, lo so, c'è qualcosa di manifestamente compulsivo nell'uso smodato che faccio della lavatrice.
Il fatto è che non bevo, non fumo e non mi drogo: lasciatemi almeno la lavatrice (e l'asciugatrice, beninteso).
Il fatto è che non bevo, non fumo e non mi drogo: lasciatemi almeno la lavatrice (e l'asciugatrice, beninteso).
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