Io adoro le mattine violacee del tardo autunno perché mi ricollegano alla parte migliore della mia infanzia: l’equilibrio esitante della luce subito prima che sbocci il giorno, i fari delle auto, residuo superfluo dell’oscurità.
Essere l’ultimo nato in famiglia consente di sbirciare il mondo dalle retrovie, ed era da lì, da quell’osservatorio privilegiato – il sedile dell’auto che accompagnava a scuola prima mio fratello e poi me – che assorbivo le boscaglie nude a margine della strada e le popolavo dei miei mondi.
Dalla macchina, poi, sgusciavo nel castello accogliente della scuola, la mia vera casa, luminosa, linda, materna.
Adulti, si continua a diventare ciò che si è stati. Impossibile, però, alimentare il sogno.
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