"Me n'ero andata perché non volevo essere a casa quando tutto si sarebbe dissolto: la mia Berlino Est e la nostra Berlino Ovest; avevo temuto di dissolvermi anch'io, di sparire. Avevo preferito farlo altrove. Essere straniera in Svizzera mi sembrava più normale che diventarlo in due città che non potevano continuare a essere ciò che erano state, e che tanto meno sarebbero potute tornare a essere una città sola, la Berlino che fu - sarebbero piuttosto diventate qualcosa di nuovo, una città che nessuno conosceva e che forse, una volta ultimata, mi sarebbe anche potuta piacere. In quel momento comunque no, non all'inizio di tutto; un inizio che significava caos, demolizioni, speculazioni, incertezza. Lo percepivo anche da lontano: la maggior parte di noi aborigeni, a prescindere che fossimo berlinesi dell'Est, dell'Ovest o berlinesi doppi, si sentiva in quei mesi difficili come millepiedi che fino ad allora avevano vissuto sotto le pietre di un giardino abbandonato. Poi era arrivata una mano gigantesca e aveva sollevato quelle pietre. E allora quegli esserini avevano preso a vagare impauriti o a fingersi morti - desideravano soltanto poter avere indietro la loro patria pietrosa; l'oscurità, la pace, tutto ciò a cui appunto erano abituati." (Katja Lange-Müller, "L'agnello cattivo", Neri Pozza 2008)
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