Io mi sorprendo della mia saggezza, della mia serenità, addirittura, quando gli dico: “Non avere fretta” e poi, davanti a quegli occhi smarriti, provo solo l’impulso di stringerlo di nuovo a me per offrirgli tutto il conforto di cui sono capace.
Mi invade all’improvviso la sensazione insperata, dolcissima, di non essere più solo. “Tu sei mai stato felice con qualcuno?” mi viene da chiedere a un tratto.
“Credo di non essere stato felice mai, in nessun caso.”
“Nemmeno io” concludo con una sorta di sollievo, come se mi fossi liberato di una antica costrizione.
Non ho ancora cominciato a misurare la realtà da questa nuova prospettiva che Alex si è già staccato da me. “Ho bisogno di starmene un po’ da solo” dice sgusciando via.
Una decisione improvvisa che mi lascia senza parole. Sono solo pochi minuti che si è allontanato e provo già la fastidiosa sensazione di essere stato privato di qualcosa di vitale. Non ho la minima idea di quello che mi aspetta, non so assolutamente cosa potrà significare, in concreto, quello che io e Alex ci siamo appena detti, e tuttavia non posso fare a meno di godere il nettare delizioso che mi è stato miracolosamente versato nelle vene. Rassegnato e felice, sospiro e mi abbandono ancora contro la vetrina della libreria, e chiudo gli occhi sulla mia beatitudine, sui miei sogni, sulla mia eccitazione. Sotto la camicia sento la sua mano calda, nervosa, che mi stringe avida un fianco, e poi comincia a viaggiare leggera. Non è assurdo che io stia già azzardando fantasie così dettagliate? E se ne restassi deluso?
Improvvisamente, ogni cosa mi appare sotto una luce diversa: mi sento come folgorato da una saggezza benevola che proietta un’indelebile linea di confine nella mia vita.
Ci sono immagini che mi attraversano il cuore all’impazzata.
Rivedo Alex sdraiato sul pavimento di casa mia la mattina dell’ultima vigilia di Natale, tra lattine e bottiglie vuote. Sento le mie risate, quelle ancora più sguaiate degli altri. Per tutta la notte la relazione tra Alex e l’agente immobiliare è stata il principale argomento di conversazione e oggetto di battutacce impietose. Alex ha assorbito in silenzio le peggiori volgarità una sigaretta dietro l’altra, un bicchiere dietro l’altro.
Una mattina buia e grigia. Una leggera pioggia gelata. Tutti si sono dileguati, mentre io e Alex continuiamo a sonnecchiare sul pavimento. Di lì a due giorni Corinne entrerà nelle nostre vite e noi dormiamo incoscienti. A giorno fatto mi viene voglia di darmi una sistemata per farmi un giro in città e scegliere un buon posto dove ubriacarmi. Vista la situazione, Alex potrebbe essere il mio compagno di sbronze ideale.
“Ma tu non te ne torni a casa dai tuoi al mare?”
“Stai scherzando? Dio, se penso a quell’odore di carne arrostita…”
“Voi cattolici ci tenete a queste cose, no? Non sei tu quello che ha quattro sorelle?”
“Siamo come estranei. Lo stesso con mio padre. È come se non esistessi. Non si accorgeranno nemmeno della mia assenza, fidati.”
“Cristo, non c’è giorno dell’anno che odio di più…mi fa sempre stare da schifo” Alex che si infila una sigaretta spenta fra le labbra.
“Penso sempre a come deve essersi sentita mia madre… te l’immagini? Passare la vigilia di Natale a partorire un figlio che non avresti mai voluto… cazzo, deve essere stato un incubo…”
“Ma non puoi pensare certe cose il giorno del tuo compleanno, cazzo, uno deve festeggiare, lo vedi cosa succede a mettersi con le donne sposate? Che ti mollano da solo nei momenti peggiori, ecco cosa succede… ti trovo subito dell’acido da sballo, fidati…”
Alex che si rimette in piedi, incerto, e cerca di accendersi la sigaretta.
“Senti, lasciami andare a casa… ho un bel po’ di roba da vomitare, credo.”
Io lo chiamo più volte durante il giorno. Lui non risponde mai. Io passo la notte di Natale da solo a bere e ad ascoltare per tre volte consecutive la Boheme con Maria Callas piangendo di commozione.
Quando Alex ritorna, raccogliendosi con un elastico i ricci inumiditi, mi sembra di avere la febbre. Quello che penso è che non avrebbe mai dovuto lasciarmi qui da solo in un momento del genere, ma non ho il coraggio di dirglielo.
Lui siede a gambe incrociate accanto a me, evitando accuratamente di incontrare il mio sguardo.
“Se dura fino a domani ci sono buone probabilità che duri per un bel po’”mi viene da dire a un tratto, per una ispirazione improvvisa, indovinando i suoi pensieri.
“Che strana teoria” mormora lui con un sospiro, tornando ad appoggiarsi alla vetrina. “Domani saremo in Brasile.”
Sono quasi le cinque di mattina e io non riesco a immaginare quando, come e dove sarà domani.
“Lascia stare, smetti di pensarci, Alex. Domani saremo in un posto dove non siamo mai stati, lascia che le cose succedano…”
Lui sogghigna cinico a occhi chiusi. “Dunque quello che deve succedere succederà in Brasile…È strano, non trovi? Attraversare l’oceano in attesa di una risposta, sbarcare in una terra sconosciuta e scoprire cosa dovrà accadere.”
“No, non è strano. È piuttosto logico, anzi. Pensa a chi in Brasile c’è arrivato per primo, pensa ai navigatori del quindicesimo secolo - stiamo parlando di più di cinquecento anni fa - io non so se fossero geni o pazzi furiosi, mi chiedo se fosse il coraggio o la disperazione a spingerli… ma pensa a come dovevano sentirsi quei capitani cui erano affidate centinaia di vite, addirittura le sorti di una nazione, in un certo senso, e potevano contare solo sull’aiuto delle stelle e sul proprio intuito e non avevano la minima idea di ciò a cui sarebbero andati incontro… Si mettevano in mare senza nemmeno sapere se sarebbero ritornati, semplicemente abbracciavano l’oceano e il proprio destino…”
Alex volta leggermente la testa verso di me e finalmente sorride “È bello starti a sentire, Steve. Non ho mai conosciuto nessuno come te. Hai sempre un modo così originale di vedere le cose e dire quello che pensi.”
Gli occupanti dei sacchi a pelo ordinatamente disposti al piano di sotto stanno cominciando a sbucare dai loro involucri. Improvvisamente riusciamo a percepire il rumore confortante delle porte automatiche. La vita ritorna.
Forse dovremmo muoverci in cerca del nostro volo. Gordon e gli altri saranno qui a momenti.
Mentre ci rimettiamo in piedi, le ossa a pezzi, i nostri sguardi si incontrano. Suppongo che sarebbe il momento giusto per provare a baciarlo ma non trovo il coraggio.
In lontananza riusciamo a distinguere le sagome dei due ecologisti belgi che si avviano all’imbarco verso le Azzorre. Provo all’improvviso uno smarrimento e una malinconia senza fine. Un inspiegabile senso di abbandono. Alex li segue con lo sguardo e il suo viso sembra distendersi. “Spero che facciano un buon viaggio e una buona vacanza… Che strano: non li vedremo mai più, ci pensi?”
Con estrema naturalezza il mio braccio destro scivola intorno alle sue spalle: sono curioso di indagare il suo sguardo, li voglio tutti per me questi occhi luminosi. I due belgi se ne sono andati, ma tu sei qui, tu sei qui con me, penso con indicibile sollievo. Quasi rispondendo ad un messaggio in codice la sua mano intreccia la mia.
“Lo sai, Steve, io non ho mai avuto paura di volare.”
“Nemmeno io, Alex.”
(da "L'inutile guida" ed. Progetto Cultura, 2009 - decima puntata)